Critica della (di una certa) cultura critica

In risposta e reazione all'articolo:

Il poeta che mette una nota in ogni verso
di Camillo Langone

presente su ilGiornale.it:

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=360207&START=0&2col=

Ho sempre sospettato che l’ostilità dei poeti moderni contro i cantautori non sia dovuta solo ai guadagni (molto diversi, perfino in questi tempi di crisi discografica) ma anche alla loro incapacità di governare il verso. Non mi riferisco a Valduga o Zanzotto o Conte, che la metrica la conoscono benissimo, ma a quelle migliaia (o milioni?) di poetastri che danno lavoro alle tipografie e alle giurie dei premi letterari delle stazioni termali. Tutti quanti fautori del cosiddetto verso libero, siccome è più facile andare a capo quando se ne ha voglia piuttosto che quando lo impone l’endecasillabo.

Camillo Langone


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Per sbaragliare il campo da qualunque fraintendimento e lasciare quindi libero spazio ai pregiudizi in materia che sono alla base dell’articolo di cui all’estratto qui sopra, premetto subito di essere uno di quei milioni di poetastri che danno lavoro (strapagato, me lo si consenta, ché pare si stia parlando di un fastidio, piuttosto) alle tipografie e alle giurie dei premi letterari - magari non delle stazioni termali, ma davvero poco importa, credo. Chiarito questo punto fondamentale ci tengo a dire, sentendomi chiamato in causa, che non nutro alcuna ostilità contro i cantautori, anzi, tutt’altro, e il mio curriculum “poetico” (per chi volesse informarsi prima di voler fare informazione) parla per me, ne è l’evidenza più lampante, oserei dire lapalissiana. Ritengo inoltre di poterlo dire anche di tutti gli altri milioni di miei colleghi senza tema di smentita, ne conosco davvero la maggior parte. Siamo fra i primi e più accaniti fan dei cantautori, partecipiamo ai loro concerti, compriamo i loro cd, ci facciamo ispirare dalla loro musica e dalle loro parole, anche. A giudicare dagli esempi riportati nell’articolo in questione, sembrerebbero in vero più i poeti che i poetastri a nutrire questa ostilità, ma Camillo Langone dice apertamente di non riferirsi a loro e allora a chi? Di chi si sta parlando? O meglio, di che si sta parlando? Fraintendimenti, pregiudizi, stereotipi, grande grandissima confusione (poesia? musica? canzone? poeti? parolieri? autori?), si parla senza conoscenza di causa. Peccato. Si preferisce offendere, denigrare, insinuare, alludere, sottintendere, suggestionare. Peccato. Peccato perché chi parla non sa e farebbe meglio a documentarsi prima o a tacere, peccato perché chi non sa e legge, pensando di documentarsi, non solo viene lasciato nella più totale ignoranza in materia, ma pure lo si confonde con fals(at)e informazioni. I poetastri non saprebbero governare il verso? Che sciocchezza. La metrica la conosciamo proprio tutti, è materia di studio, così come la matematica e saper contare fino a undici è davvero un minimo patrimonio appannaggio di chiunque. Scegliere di non utilizzarla, limitatamente alla versificazione, o di modificarne gli standard o di utilizzarla a proprio piacimento non è quindi sintomo di incapacità, ma consapevole volontà di farne un uso proprio, personale, creativo. Ciò che dovrebbe qualificare un poeta o poetastro che sia è anche l’invenzione di un nuovo linguaggio, ma come si pretende si possa farlo quando le inderogabili premesse al poetare sarebbero il mantenimento dello status quo ante, pena la non poeticità del testo stesso? Che poi noi si sia tutti fautori del verso libero è pure questo ancora tutto da dimostrare, ma certo, se la poesia non la si legge, come si potrebbe saperlo che ci sono poetastri che utilizzano il verso codificato dalla metrica? E che pure il verso libero lo è? Ebbene sì, sorpresa! Nel catalogo dei versi utilizzabili, esiste pure il verso libero che ha pari dignità di un endecasillabo o di un settenario, tanto per fare solo due esempi cari alla poesia italiana. E comunque, e poi chiudo, non è la metrica che impone nulla al poeta, semmai è l’esatto contrario, è il poeta che impone alla metrica la sua poesia, la metrica della sua poesia. Ricordo che la metrica è venuta dopo la poesia, che la metrica è la codificazione successiva, a posteriori, della poesia, che questa codificazione sia poi divenuta per antonomasia(?) il soggetto e non più l’oggetto della poesia - come ahimé succede a ogni codificazione di qualsivoglia natura che senza eccezione alcuna prenda il sopravvento sulla sua materia, diventandola a sua volta, invece di rimanerne uno strumento da utilizzare - è un malcostume che andrebbe denunciato e non avallato. Se devo dirla tutta, leggendo questo articolo, più che l’ostilità dei poetastri nei confronti dei cantautori, rilevo per l’ennesima volta l’ostilità della cultura, nei confronti della cultura stessa, che preferisce farsi la guerra piuttosto che portarla all’ignoranza, in cui poi inevitabilmente si trasforma a sua volta, ahinoi.

Fabio Barcellandi, poetastro orgoglioso.