beppe costa sceglie: Viviana Piccolo al Teatro dell'Orologio di Roma: Il Castello dei Clandestini



"Il Castello dei Clandestini"
Monologo inedito di Fernando Arrabal


Roma Teatro Dell'Orologio
Dal 22 Febbrario al 6 Marzo


Dedicato a Viviana Piccolo

Diretto e interpretato da Viviana Piccolo

Traduzione di Massimo Rizzante
Collaborazione artistica Paola Caldarelli
Musiche Daniele Novello, Carlo Cenini
Scenografia Paola Forino, Elisabetta Pola, Thomas Vallini
Luci e video Tiziano Ruggia

"Personaggio unico: Lerry nel suo castello di emigranti. Lei è una duchessa molto bella che ha l'età di Viviana Piccolo.

Scenario:
Camera da letto occupata ("squottata"), un tempo aristocratica,
ora trasformata in una bolgia. Bidone della spazzatura capovolto.
Due porte, una a destra e una a sinistra. Varie tende ("quechuas")
a forma di guscio di tartaruga, minuscole: le più piccole, appena
montate, hanno colori mimetici e sono imbtrattate dei nomi, dei
vari e successivi occupanti. Un letto monumentale a baldacchino:
quello di Lerry. Tre finestre: sinistra, destra e centro. Epoca,
ovviamente, attuale.






Si sentono spesso spari isolati. Lerry entra da una porta della platea. Si rivolge a uno spettatore seduto nell’ultima fila. Gli parla quasi confidenzialmente.


LERRY: Sono i miei adorati colombi profumati di stelle: gli emigranti che si rifugiano nel mio castello. Hanno saputo che la polizia, per taccagneria e insulsaggine, accusa il loro leader di essere un terrorista. Su di me si sono inventati che ho una malattia mentale ereditaria. Il che è altrettanto falso”.[…]

Il monologo affronta in maniera originale ed inedita nel grande stile di Fernando Arrabal la tematica dell’immigrazione. Argomento questo profondamente sentito dal grande drammaturgo che è stato costretto durante il regime franchista all’esilio per anni. Per usare le stesse parole dell’autore non è solo immigrazione ma sradicamento, così egli definisce se stesso: “Io sono uno sradicato, non ho radici ma gambe appartengo al paese dell’esilio” da L’Unità del 3 febbraio 2009.
La Duchessa Lerry nell’opera si fa portavoce e regina dell’umanità migrante del mondo, testimone dell’esilio, trasformando il proprio castello in un inusuale centro di accoglienza.
Il monologo è ambientato nell’epoca attuale ma non prevede per i motivi sopra citati una precisa collocazione spaziale. Lerry parla dal suo castello al pubblico che si trova con lei dentro allo stesso castello, proteggendo tutti gli sradicati del mondo; se dovessimo definire un luogo allora diremmo con Arrabal che ci troviamo nel “paese dell’esilio”. Fuori dalle mura di questo paese ci sono “le autorità” che in principio tentano maldestramente di rapportarsi a lei e nel finire giungono ad un vero e proprio scontro sgominatore.

[…]“LERRY: Nella nobile muraglia si trova dissimulata una porta attraverso la quale, come fosse uno sfintere, né più né meno, l’Umanità circostante evacua i suoi emigranti clandestini. Vengono cacciati verso il nostro ingegnoso castello in un velocissimo aprir e chiudere di porte. Poi vengono trasportati in aeroporto e rimandati indietro con i charter. Ma io sono qui per impedirlo”.[…]


DELTEATRO.IT
http://delteatro.it/recensioni/2010-03/il-castello-dei-clandestini.php

Nella bella stagione della Soffitta - il teatro universitario del Dams di Bologna - stagione degna di uno dei migliori stabili d'innovazione, è andato in scena un lavoro curioso e inatteso. Stiamo parlando di Il castello dei clandestini, opera inedita e recente di Fernando Arrabal. A farsi carico totalmente dello spettacolo è la giovane regista e attrice Viviana Piccolo. Il castello è un monologo intenso e altalenante, vibrante e surreale come consuetudine dello scrittore franco-spagnolo. Autore prolifico, patafisico e surreale, fondatore del Movimento Panico con Topor e Jodorowski, antifranchista militante, Arrabal ha una cifra narrativa in cui forte è l'elemento ironico, in una vertigine linguistica sempre spinta al limite. E in questo monologo, dedicato proprio alla Piccolo e scritto per lei, Arrabal si è inventato il ritratto di una fantomatica duchessa, mezza folle mezza eroina, che accoglie - o forse sogna di accogliere - nel proprio castello un gruppo nutrito di immigrati, cui non lesina cibi, droghe e cortesie sessuali. La duchessa si fa paladina dei suoi uomini, novella Jeanne D'Arc che raggiunge il misticismo con fellatio a ripetizione e con una sorta di venerazione per un immigrato misterioso, tale Miguel, accusato di terrorismo e inseguito senza tregua dalle forze dell'ordine. Ma la duchessa, che per far spazio agli immigrati non ha esitato a sterminare la propria famiglia, difende a spada tratta Miguel, fino alla fine. Il testo, dunque, è un'onda anomala di parole e sogni, di improvvise sterzate e subitanee volute, di arrampicate verbali e digressioni sessuali: un'incessante vertigine di sogni e allucinazioni, di battute feroci e dissacranti verità. Ed è stata brava Viviana Piccolo a domare questa incandescente materia, fin troppo ridondante, incardinandola in una struttura complessa di elementi e codici che si mescolano - con maschere, amplificazioni, video, burattini, tarocchi, danze e telefoni eternamente squillanti - senza però mai perdere il ritmo, il tempo, il senso anche nel non-senso. Esile ed eterea, la Piccolo svela invece possente presenza fisica, e un gusto smaliziato di giocare con le grevi situazioni concepite da Arrabal. Ma sottotraccia, in questo racconto apparentemente grottesco e stralunato, resta il disagio per quell'assenza, per quegli immigrati tanto citati e mai visti: inseguiti, sperduti, indifesi, li immaginiamo raccolti nelle piccole tende che fanno da sfondo alla scena. E di loro Arrabal parla con affetto, con solidarietà: ma solo i folli, come la nostra duchessa, si ostinano ancora a star dalla loro parte.
Andrea Porcheddu



“ Pagine”
IL Castello dei Clandestini di Fernando Arrabal
Apologo, fantastica visione, metafora “nera”, bassa, cattiva del rapporto società e potere, poetica rappresentazione della condizione umana tutta stretta nella relazione fra individuo e forze occulte (religiose e politiche) che tendono a schiacciarlo, sesso e pornografia come “gioco” e unica chiave di salvezza di una umanità senza più controllo, poema solipsistico di una immaginazione malata: surrealismo e realismo uniti insieme pericolosamente in una drammaturgia ossessiva, perentoria, senza scampo e senza luce, al di là della storia e del tempo, infantile e crudele, semplice e barocca straordinariamente classica e moderna, antica e contemporanea, rutilante e malferma nella sua struttura, ma forte e vitale nella scrittura quale è il testo scritto dallo scrittore Fernando Arrabal per l’attrice italiana Viviana Piccolo, e a lei dedicato: Il Castello del Clandestini, presentato in “prima assoluta” al teatro universitario “La Soffitta” di Bologna, alla presenza dell’autore.
Lerry, una Duchessa molto bella, e forse anche un po’ matta – ricorda “La pazza di Chaillot” di Giraudoux – accoglie nel suo castello (forse immaginario) un gruppo di immigrati a cui offre, con folle generosità, asilo politico, tende per dormire, cibo e favori sessuali. Ma in quel Castello ha trovato rifugio anche un certo Miguet, accusato di terrorismo e adesso braccato dalle forze dell’ordine che hanno circondato quella fantomatica fortezza. Nel corso del lungo, allucinato monologo, scopriamo che l’adorato Miguet, con la compiacenza della Duchessa, se la spassa nella camera di sopra proprio con la sua sorellina (“Fortunatamente Miguet, mio ritmo silenzioso, e la mia sorellina si baciano: indifferenti ai metodi abbietti della Polizia, lubricamente intimi. Siate felici! Pensate a me!”)
Lerry ha dialoghi senza risposta con Miguet (“mio ponte dei sospiri”), e col Primo Ministro che le risponde con la Voce di un Altoparlante: la trattativa per il rilascio dei clandestini e del terrorista è ovviamente impossibile; alla fine una pallottola colpisce il deposito di benzina del castello, che va in fiamme, Miguet si butta dal balcone del terzo piano come torcia umana (“I suoi capelli ardono divorati dal fuoco”), mentre Lerry soccombe colpita da una pallottola (“Volo verso di lui..per i secoli dei secoli..).
Da questo testo carico di infinite suggestioni poetiche e drammaturgiche, ricco di parole che sono un caleidoscopio di rifrazioni interne ed esterne all’opera ma teatralmente “non fondanti”, Viviana Piccolo si costruisce, con intelligenza e abilità scenica, un percorso interpretativo molto personale che, senza togliere nulla alla densità visionaria di questa tragedia, come ritagliata sulla fine del mondo contemporaneo (dei suoi sogni, come dei suoi decaduti valori ideali e sentimentali), gli dà un senso tangibile e concreto nel momento in cui assume il pensiero di Lerry come un Joyceano “flusso di coscienza”, un monologo “di formazione”, il viaggio di una moderna Alice nei labirinti (anche psicologici) di una civiltà “fuori di sesto”, come se quel Castello di tende fosse una moderna Elsinore.
Viviana Piccolo è bravissima a dialogare con i fantasmi della sua mente, e con i suoi interlocutori invisibili, servendosene per capire meglio questo suo itinerario di riflessione e di conoscenza, sia rispetto al personaggio che al suo ruolo di attrice.
Come regista dello spettacolo riesce ad illuminare alcune situazioni oscure e impraticabili del testo arrabaliano con la sensibilità di chi riesce a cogliere i significati delle cose con uno sguardo “dall’interno”, ma riuscendo a mostrarcele in una forma inedita, con un segno visivo forte e riconoscibile con espressionistico, sofisticato “glamour” e simpatica, manifesta ironia.
Giuseppe Liotta


Viviana Piccolo +39/3316455795
viviana.piccolo@hotmail.it