il mio ultimo
viaggio in Sudan, in occasione del referendum per l'indipendenza del Sud Sudan,
é stato più duro e, in certi momenti, pericoloso rispetto ai precedenti. Ho
passato dei giorni con un gruppo di ribelli che mi ha anche fornito delle foto
(ne allego una per farvi capire di che parlo...) che testimoniano i crimini in
Darfur.
Ho avuto la
possibilità di parlare con i sopravvissuti degli ultimi attacchi delle forze
militari del governo e ho capito, ancora una volta, che per quello che ha
subito e continua a subire, questa gente - donne violentate e mutilate prina di
essere uccise, ragazzini bruciati vivi nelle scuole, interi villaggi distrutti
- non sarà mai pronta alla pace se prima non verrà loro garantita giustizia.
Le sensazioni
che mi ha lasciato questo viaggio sono contrastanti.
Come avevo
scritto nel novembre del 2009, quando con l'intergruppo Italia Darfur
andammo a Zam Zam camp, non ho trovato volti scavati dalla fame, -
come nel 2005 e nel 2007 -persone disperate che non avevano
neanche la forza di chiedere aiuto. Stavolta non sono state le migliaia di
persone che pelle e ossa vagavano per i campi profughi con gli occhi sbarrati
dal panico o le testimonianze delle ragazze violentate che mi hanno raccontato
il terrore degli stupri subiti a segnarmi profondamente. Questa volta è bastato
il ‘contesto’... Il degrado umano dilagante, l'assenza di ogni barlume di
speranza negli sguardi, la delusione trasformata in rassegnazione di non poter
cambiare uno ‘status’ incancrenito, che ti porta a perdere dignità e futuro.
La situazione
alimentare è migliorata ma la distribuzione del cibo e l’assistenza
umanitaria sono sempre a rischio. E la gente non ce la fa più. Questa
esistenza ai limiti della sopravvivenza e del decoro, hanno ‘inciso’
un marchio indelebile sulla loro pelle.
Quando bambini
di quattro – cinque anni si azzuffano e calpestano i fratellini di
pochi mesi pur di strappare dalle mani di chi li porge
quaderni e matite che probabilmente non useranno mai, comprendi che per loro il
presente e il futuro sono segnati da abbandono, disinteresse e violenza.
E allora ti
chiedi... ha senso andare avanti? Forse chi mi chiede che senso ha continuare a
occuparsi del Darfur, un posto così lontano e senza speranza, e mi consiglia di
usare meglio le mie energie – a cominciare dai miei colleghi giornalisti mai
così numerosi in Sudan - ha ragione? Poi mi torna in mente una vecchia massima
che dice: non interessa al mondo chi del mondo non si interessa... E allora
ogni mio dubbio svanisce: fino a quando io continuerò a occuparmi di Darfur, qualcuno
a cui interesserà quello che ho da dire ci sarà sempre. Se anche la mia voce si
zittisse, allora sarebbe più 'facile' ignorare questa tragedia. E così smetto
di pormi domande, la risposta è dentro di me ed è una convinzione ferma.
Ignorare quella
gente per me non è possibile, perché il loro dramma è il mio dramma, la loro
battaglia è la mia battaglia, la loro speranza e la mia speranza!
Spero sia anche
la vostra...
Con affetto,
Antonella
Napoli
Presidente di
Italians for Darfur