Arrabal: Il Castello dei Clandestini

Arrabal torna in Italia
presentazione del libro "Il Castello dei Clandestini"

Dal 1978, data di pubblicazione dell'edizione italiana di Panico, libro sul movimento fondato da Fernando Arrabal, Jodorowsky e Topor, non riesco a staccarmi dalla magia che questo autore ha avuto su di me, benché siano passati oltre trent'anni (lo abbiamo avuto ospite in libreria nel 2010) l'occasione mi è stata fornita prima dallo spettacolo di Viviana Piccolo cui Fernando ha dedicato questo testo e, più recentemente da Igor Costanzo e dal comune di Moniga del Garda che ne condividono la pubblicazione. Nasce quindi la volontà di ritradurre il testo già tradotto da Massimo Rizzante per lo spettacolo della Piccolo, riscoprendone ancora una volta l'attualità, il linguaggio, l'impegno di un teatro che ancora certamente trova il nostro paese "ritardato"; quindi unendo le forze di amici (cui si è aggiunto Lorenzo Ferri dell'Arci di Treviglio) che amano la patafisica e tutta l'opera di Fernando senza togliere neanche un "pelo", ne approfittiamo per stampare per i tipi della SEAM (con la collaborazione di Volo Press), questo straordinario testo arricchito dalla attenta prefazione di Andrea Garbin
Fernando sarà quindi ospite a Pordenone, Moniga del Garda e Treviglio le cui date riportiamo sotto.
beppe costa

collana Inediti rari e diversI scelti da beppe costa

Nel teatro politico di Arrabal è sempre possibile trovare originalità e genio in grado di raccontare i meccanismi dell’esistenza e della società.
Il Castello dei clandestini, scritto appositamente per l’attrice e regista Viviana Piccolo, è uno straordinario monologo che ruota intorno alle questioni dell’immigrazione e della clandestinità, temi di grande attualità nell’Europa comunitaria di oggi, e certamente degli anni a venire. [...]
[...] Lui, che ha vissuto per anni la condizione dell’esilio, sosteneva, riassumendo a brevi linee, che il reato di clandestinità non può esistere, che è una bufala da considerarsi violazione dei diritti umani, per il semplice fatto che in natura l’essere umano ha la libertà e il diritto di muoversi senza limitazioni geo-politiche, e nella società odierna l’emigrante che lascia il proprio paese non lo fa di sua spontanea volontà, ma perché è messo nella condizione di andarsene dalla società stessa. Ecco la contraddizione [...].


Arrabal da Pellicanolibri registrazione completa su YouTube
https://www.youtube.com/watch?v=QuRkmYjZXXg

Festival Pordenonelegge, 19 settembre 2013 ore 18.00

Moniga del Garda, 20 settembre 2013 ore 18.00
Sala Consiliare del Comune di Moniga del Garda.
Nell'occasione sarà consegnato un premio alla Carriera,
come dovuta anticipazione del Premio Nobel.

Arci Fuorirotta Treviglio (località Battaglie)
21 settembre 2013 ore 21.30.



Arrabal ha diretto sette lungometraggi, pubblicato quattordici romanzi, circa ottocento libri di poesia e vari saggi. Le sue opere sono state tradotte in numerose lingue. Ebbe particolare eco la sua Lettera al Generale Franco pubblicata quando il dittatore era ancora in vita. Alla morte di Franco, il nome di Arrabal appare nella lista dei cinque spagnoli più pericolosi: Carrillo, la Pasionaria, Líster, il Campesino e, appunto, Arrabal.
Nel 1963, con Alejandro Jodorowsky e Roland Topor, fonda il Gruppo Panico. Dal 1990 è Trascendent Satrape del Collegio di Patafisica. Amico di Andy Warhol e di Tristan Tzara, fece parte per tre anni del gruppo surrealista di André Breton; per questo motivo, Mel Gussow lo definisce l’unico sopravvissuto delle «tre reincarnazioni della modernità».
Fernando Arrabal, erede di Kafka ma anche di Alfred Jarry, è autore di un teatro geniale, brutale, sorprendente e gioiosamente provocatorio. Un potlatch drammatico in cui i rottami delle nostre società “avanzate” si carbonizzano nel festoso recinto di una rivoluzione permanente.

Colgo l'occasione per riportare un pezzo che scrisse Alberto Moravia in occasione dell'uscita in Italia di "Viva la muerte".

SE EDIPO IMPUGNA LA BANDIERA ROSSA
di Alberto Moravia

"Viva la muerte" di Fernando Arrabal è un film doppiamente autobiografico, cioè sia negli eventi che sono quelli della vita stessa dell'autore, sia nelle deformazioni che l'autore non può fare a meno, proprio perché è profondamente e direttamente impegnato nella sua opera, di introdurre negli eventi. Di che si tratta in "Viva la muerte "? In una cittadina spagnola, ai nostri giorni, in una famiglia povera composta dei nonni, della madre e di una zia, vive un ragazzo il cui padre, ufficiale repubblicano, ai tempi della guerra civile, fu arrestato e
condannato prima a morte e poi al carcere a vita. Il ragazzo ha assistito all'arresto, sa della condanna a morte e del carcere a vita e ha pure appreso che il padre ha tentato di uccidersi e che alla fine è diventato pazzo ed è scomparso. Ora questa è punto per punto la storia del padre di Arrabal il quale, infatti, ha scritto: "Il 4 novembre del 1941 colpito da turbe mentali, mio padre fu trasferito dal carcere centrale di Burgos al manicomio provinciale della stessa città. 54 giorni dopo sfuggì e scomparve per sempre. Il giorno della sua scomparsa, a Burgos, c'era un metro di neve e gli archivi indicano che egli non aveva con sé la carta di identità e indossava soltanto il pigiama. Mio padre che era un "rosso", era nato a Cordoba nel 1903. La sua vita fino alla scomparsa fu una delle più dolorose che io ricordi. Mi piace pensare di avere le sue stesse idee artistiche e politiche".
Fin qui i fatti. Ma nel film, oltre all'autobiografia fattuale c'è anche quella interiore. Arrabal immagina che il ragazzo è sicuro che sia stata la madre retriva e bigotta a denunziare e fare arrestare il padre dai franchisti. Ora, è accertato che questo " non risponde alla verità ". In realtà la madre si limitò, forse per paura, a non prendere le difese del marito, a non assisterlo con il suo affetto. Bisogna dunque vedere nell'invenzione della delazione una specie di rabbiosa diffamazione da parte di Arrabal il quale, evidentemente, "aveva bisogno", e non soltanto per motivi letterari di non perdonare alla madre il suo contegno verso il padre.
Perché insisto sul doppio autobiografismo di  "Viva la muerte "? Anzitutto perché esso spiega l'atmosfera dolorosa e sofferta della vicenda. E poi perché è la chiave per arrivare al nucleo centrale, tragico e straziante, dell'ispirazione di Arrabal. Il ragazzo Faudo ama sua madre di un amore eccessivo, chiaramente edipico, che alla fine potrebbe portarlo, per istintiva rivalità, a prendere le parti della donna contro il padre. Ma Faudo sente, al tempo stesso, oscuramente, che deve rivoltarsi contro sua madre e contro il mondo retrivo e bigotto che essa incarna. Allora, con mezzi drastici e disperati, egli opera una scelta esistenziale. Tra se stesso e sua madre getta la delazione materna, il destino del padre e, alla fine, la rivoluzione. Si identifica, insomma, con il padre "rosso"; rifiuta la madre franchista. Lo sforzo durato per ripudiare la madre, lo fa ammalare.
Nell'autobus che lo porta all'ospedale, egli accuserà apertamente la madre di aver provocato l'arresto del padre. Essa risponderà: "Se egli avesse fatto il suo dovere, oggi sarebbe dalla parte dei vincitori. Oggi sarebbe un padre come tutti gli altri. Ma egli, per le sue idee, ha compromesso tutto: il suo avvenire, quello della moglie e dei figli". Chi non ha udito parole simili al tempi dei fascismi ?
Il film è raccontato a due livelli, quello della vita quotidiana in un borgo spagnolo e quello della vita interiore di un ragazzo alle prese con il suo inconscio. Nella descrizione della vita quotidiana Arrabal è realistico, del realismo, però, fermo e incantato che è proprio dei surrealisti, a cominciare da Buñuel. La vita interiore, d'altra parte, accompagna quella quotidiana con un flusso continuo di immaginazioni simboliche, violente, truculente. Ma i due livelli si intersecano e si confondono. Arrabal ha capito che il sogno è altrettanto reale della realtà; e che mentre una cosa può essere vera o falsa, tutto, in compenso, è reale, così la verità come la menzogna. La bella zia che si denuda davanti al crocefisso e si fa frustare dal ragazzo, è un sogno oppure una realtà? La madre che sputa sui fucilati, è una realtà oppure un sogno?
È stato osservato che in "Viva la muerte" Arrabal attinge a piene mani nel museo degli orrori dell'onirismo surrealista così che nel film, accanto a parti sentite e autentiche ci sarebbero parti di maniera. Non sono di questo parere. In realtà, come tutti sanno anche se non vogliono ammetterlo, l'inconscio è pieno di mostri che Arrabal ha evocato con esattezza in un contesto che li giustifica. L'avere stabilito un rapporto dialettico tra i mostri dell'inconscio e la vita morale mi pare uno dei meriti principali di questo film eccezionale.
Gli interpreti, tutti molto bravi, così a livello quotidiano come a livello onirico, sono Mahdi Chaoud che è il ragazzo, Nuria Alspert che è la madre e Anouk Ferjac che è la zia. Affascinanti i disegni sadici di Topor, accompagnati dalle note beffarde di una agra canzoncina infantile danese.
A.M.

di Fernando Arrabal in italiano editi da Pellicanolibri:
(con Jodorowsky e Topor): Panico
Il gran cerimoniale, Lettera ai militanti comunisti spagnoli, (trad. Beppe Costa) La scampagnata,
(trad. Carlo Mirabelli) 


Link:
pagina wikipedia Arrabal
blog Arrabal