Eros e Kairós: un pomeriggio a Villa Giulia

L'evento non ha che dato un valore aggiunto al Ninfeo di Villa Giulia.
Duska Vrhovac 
Malgrado la giornata calda, e l'orario, costretto dalle modalità d'uso del Monumenti (diciamo così) la bellezza e la sobrietà delle organizzatrici del I° Festival al Femminile Eros e Kairos, (iniziato a Viterbo il 6 scorso, conclusione a Civitavecchia il 15 giugno)  Dona Amati e Monica Maggi hanno fatto sì che le tre ore trascorressero con sobrietà e soprattutto con un clima poetico (di quelli insoliti, pacifici e pieno di attenzioni).
Certamente non essendo al Premio Strega, sia la folla che le ‘dormienti cucche’ erano pressoché assenti, si sa la poesia, sebbene frequentata da molti attira molto meno è vero, ma chi va è ben più attento.
Le tre ore sono trascorse così leggere e intense allo stesso tempo, personalmente la grande novità per me è stata la poesia di Duska Vrhovac, così diversa, intensa, umana (anche se si è specificato che le traduzioni sono state fatte da una insegnante, e non da un poeta). Questo nostro incontro, non personale, ma semplicemente poetico sembra camminare parallelo, sui temi che riguardano l’umanità intera. Quindi la ‘poesia’.
Monica Maggi e Maram Al Masri
Molto più personali e anche diverse da quelle che conoscevo, edite da Casa della poesia di Baronissi, quelle lette in italiano da Monica Maggi e dall'autrice in arabo Maram Al Masri: brevi ritratti familiari, sulla scia però stavolta, di tante poetesse, anche nostrane.
Fascino, eleganza, sobrietà nelle letture hanno contribuito però a renderla protagonista e amabile.
Rivista dopo tanti anni Marcia Theophilo, che dedica, da quarant'anni alla sua terra natale, il Brasile e all'Amazzonia in particolare, i propri versi.
Non è cambiata molto, sia nel carattere che nelle parole e, naturalmente, neanche nella sua poesia.
Anche la ‘nostra’ Maria Grazia Calandrone non ha dato il meglio di sé: caratterizzata anche nella lettura, molto simile a tanti poeti della Roma di trent’anni fa, Bellezza, Pecora, Magrelli, ecc.
Maria Grazia Calandrone
Ma questo è un Festival unico e particolare, pensato per anni, certamente, e organizzato in poco tempo da due Poete che amano la poesia, che ce l’hanno nel sangue ma senza grandi poteri e mezzi, ed io ho visto solo una breve parte, appunto di domenica, oltre all'assenza di alcuni ospiti, forse proprio dovute alla giornata fin troppo calda.
Un momento “diversamente” poetico dalla parte del torto quello di Marco Cinque, che vive la poesia sulla ‘terra’, coi conflitti e le ingiustizie sociali che ben conoscono anche i grandi poeti. Accompagnato dalla chitarra di Giuseppe Natale ha contribuito all'internazionalità del Festival. Ha colpito infatti e spero con un possibile seguito le poete presenti.
Monica e Marcia Theophilo
Insieme a Marco e Giuseppe, altro momento di musica, poesia e movimento quello di Roberta Bartoletti (organetto), Monica Osnato e Mauro VizioliOblò di madreperla”, hanno arricchito di magia, con ombre e luci, malgrado il sole cocente il pubblico che col passare del tempo, aumentava.
Piuttosto appartata, per motivi logi(sti)ci la mostra straordinaria del fotografo dei Poeti, questa volta in mostra solo le Poete. Ciò che lo differenzia da altri fotografi è l’amore per la poesia che rende i suoi ritratti più vivi, di quanto la nostra cultura non faccia. Da scomparse o viventi le Poete di Dino Ignani restano immortali comunque.

Premio di Poesia Eros e Kairós

Ma il motivo principale di questo intervento è il ruolo che ho avuto per quanto riguarda il Premio legato al Festival. Specificando innanzitutto la sua correttezza.
Marco Cinque
Non conoscevamo i nomi delle partecipanti, né, noi giurati, ci conoscevamo fino a ieri.
Questo ci ha permesso di leggere le sillogi senza alcun condizionamento: per noi, spiace dirlo in genere, ma in questo caso no, sono state soltanto numeri, almeno fino a ieri.
Quindi le tre vincitrici nell'ordine: Valeria Raimondi, Chiara Cherubini (chiamata anche Silvia e Stefania, sembra suo destino) e Sylvia Pallaracci.
Il mio augurio è che continuino questa strada della poesia (lasciare quella del dolore o del vivere felice è una utopia e/o un incoraggiamento di comodo che non sento di fare a Poete o Poeti. La poesia aiuta certamente a proseguire la strada intrapresa con tutti gli ostacoli, i drammi o, come in questo caso, un piccolo e breve momento di gioia).


Monica Osnato e Mauro Vizioli
 Ecco le motivazioni:
 1)

 Valeria Raimondi non teme il cimento con i contenuti forti dell’esistenza, anzi li sfida e si batte, pur nella consapevolezza che l’essere umano è per sua natura sconfitto. Non le resta che viverla questa sconfitta e addirittura celebrarla nella catarsi della parola che fa del dramma orgoglio di denuncia e bellezza. L’ironia diventa spesso nella poesia di Raimondi, uno strumento critico che non conserva per collezionare oggetti-parole da ‘guardare’ ma per spingere verso una verifica sempre più tesa e ‘spiegata’ e ad una osservazione di come e quanto queste parole-oggetto si affermino , solo nella loro disincantata capacità di fare e disfare senso in apparente e ‘o-scenico’ adattamento al mondo degli altri sensi, degli altri linguaggi.
Roberta Bartoletti
 Le realtà degli oggetti le è necessaria per orientarsi in una dimensione disperatamente incommensurabile dove il suo spirito sbanda, precipita. Le coordinate spazio tempo sono costantemente invocate come riferimento tanto necessario a sopravvivere quanto illusorio e impotente alla sorpresa, poiché altro non siamo che artigiani di presagi e profezie, /che sia il Caso, il Fato o la Fortuna,/siamo prede di un arbitrio che si nega.
La poesia di Valeria Raimondi cerca un ritmo dove rendere sopportabile l’arbitrio subìto e lo crea in una musicalità che si distende armoniosa ma non prevedibile, una conquistata chiarezza che genera il bene della condivisione. Il suo verso talora si allunga per avvolgere la teatralità di un’immagine che ci ancora e giustifica la difesa di uno spazio umano dove ripararsi.

Ma la lucidità non consente fughe: ci si accampa in una vita già scaduta tra le dita
Complimenti a Valeria

Giuseppe Natale
2)
 La poesia di Giulia Cherubini si presenta come una mappa simbolica dove delle tante strade attraversate non resta che la traccia di rari incroci, dettagli apparentemente decontestualizzati, oggetti marginali. È una poesia ben lontana dalla confessione autobiografica che pure di quella biografia coglie un momento cruciale, un angolo di vita che, isolato sulla pagina, assurge a indizio di un’esistenza sotterranea intensa, movimentata non vuole essere svelata, né con-presa, ma accolta. L’intuizione del lettore si accende, se rinuncia al possesso immediato.
Il mistero dei testi di Cherubini non è una dimensione dove il linguaggio si ‘rassicura’ e con la distanza della ‘poeticità’ facile e ‘felice’, si allontana dalla retorica della contemporaneità, che vuole tutto ‘possibile’. È questo linguaggio, una sfida al simbolo stesso, e non si limita a interrogare la trasfigurazione ma a indagarne i segni più rimossi e abissali

da sinistra le Premiate Giulia Cherubini, Valeria Raimondi
Sylvia Pallaracci con Duska Vrhovac 
Le parole sulla pagina si allontanano dalla regolarità della successione dei versi e aprono spazi liberi dall’incombenza del reale e da melodie catturabili. Uno spazio di condivisione forse, ma solo per chi voglia cercare intesa sul piano delle energie sottili. Il mistero rimane sospeso tra le parole avare di queste cartoline che non si concedono al rapido consumo non sono fatta per ciò che va veloce/ mi seduce lo scorrere dell’umido.
A Giulia il merito di un verso leggero e sottile, stralunato e sorvegliato


Un momento della Premiazione con Dona Amati,
Valeria e Maria Teresa Ciammaruconi, Presidente del Premio
3.
Silvia Pallaracci cancella dalla pagina poetica ogni segno di interpunzione, lascia le parole nude ad azzuffarsi nella ricerca di sensi inediti, a sorprendersi nell’ossimoro che capovolge le immagini appena concesse. E come se non bastasse eccola a violentare il lessico poiché definitivo lo spasimo sprofila / ogni nome e accartocciati tra le lettere trovavo / spiumature d’uccelli. La consapevolezza delle molteplici soluzioni lessicali, nei testi di Pallaracci , non è mai
disancorata da un margine di ‘smarrimento’, di uscita dal controllo della conoscenza, per una riorganizzazione completa e complessa della materia linguistica. Lo smarrimento, qui inteso come sconvolgimento, stordimento, preludio di ulteriori conoscenze.
Dona Amati
Silvia sa che le sue gambe sono disposte al disorientamento, forse per questo cerca un interlocutore che la ancori. Si tratta di un tu che accompagna quasi costantemente il suo acrobatico cammino di parole e di vita, un tu che a volte si carica di una carne desiderabile e corruttibile, estranea e indispensabile; altre volte vive nella rarefazione di una meta irraggiungibile
Di questo scarto si nutre la parola di Silvia Pallaracci: sa bene che per sopravvivere deve illimitare la tentazione / che la poesia agisca.
 b.c.


Le foto in bianco nero sono di Marco Cinque
Le foto a colori sono di Stefania Battistella (che ha rubato la Nikon a Marco)

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