L’uomo della costa
Vidi subito che non aveva un soldo, ma in
cambio una superbia sfrontata. Ordinò due cappuccini e delle paste, e divorò la
sua roba, con la furia di un leone. L‘importante, mi disse subito, era
rientrare in se stessi, e ricostruire poco alla volta la coscienza distrutta.
Su quella barca sì poteva affrontare il vuoto del nostro tempo, la
straordinaria Non Memoria del mondo attuale, la sua anima di Niente (il Niente
era già al governo, avvertì). Naturalmente, occorreva molto coraggio per
credere in quello che non era più visibile, ch'era stato universalmente
dimenticato, che sembrava del tutto scomparso: ma ne saremmo stati
ricompensati. Un giorno, sarebbe riemerso dal cielo l'azzurro, l’alta
trasparenza del cielo, e le onde avrebbero rumoreggiato indicando l'appressarsi
della patria.
Tralascio di dire qui l'impressione che
mi fecero queste parole: turbamento, disagio, ironia. Intorno a noi, il
cameriere si muoveva con la diffidenza, gli acuti sguardi immobili della
servitù divenuta nazione, prestigio: non era neppure disprezzo, ma una
disattenta compassione, una sorveglianza inerte. Mi sentivo partecipe della
silenziosa inchiesta del servo, osservavo la fame di J.B «Dove siamo arrivati!»
pensavo, «Non c'è più differenza, a conti fatti, tra un servo e un
intellettuale, se un particolare del genere può incantarci».
J. B. non era certo sazio,
quando cappuccino e paste furono spariti. Gettava ogni tanto occhiate fiammanti
al piattino vuoto, ma in breve se ne dimenticò. Mi spiegò cosa intendeva per
patria. Patria era esattamente quello che era una volta, e che adesso non
esisteva più; un luogo dove si è sviluppata, ed è in atto, una condizione di
coscienza privata e pubblica, di ordinato progresso, di libertà intimamente
condizionata alla dignità di tutti. Una patria poteva anche essere
piccolissima, non più grande di un fazzoletto, e chiamarsi ugualmente patria:
le sue misure non nascendo quasi per nulla dall'esterno, ma solo dall'intimo.
«Questo è finito dovunque», mi disse
improvvisamente, con un sorriso che giudicai irresponsabile, tanto era slegato
dall'asprezza della sua affermazione. Un sorriso dolce, tenero. «Nel suo paese
e nel mio - io sono americano - è finito anche in Francia. È finito in Germania
ed è impensabile nel Guatemala. A oriente e a occidente. Dovunque gli uomini
hanno deciso di non resistere»,
«Resistere a che?»» chiesi stupidamente.
«Ma alla facilità, naturellement».
Scoppiò a ridere, con quel misto di
serpente e di aquila, di doppiezza e sincera disperazione, di allegria, dì
angoscia, d’intelligenza. Il cameriere aveva dimenticato di osservarci,
guardava fuori, le luci del Ponte Garibaldi. Il proprietario, un uomo grasso e
bianco, dalla camicia sudata, aveva appuntato un gomito sul banco, il mento
sulla mano, e si sarebbe detto che pensasse. Veniva una musichetta, da qualche
posto, un ballabile e si sentivano passi cadenzati di coppie.
«Naturellement ripeté con tutt'altro tono, smorzato,
quasi un principio di smarrimento.
Mi domandavo se sognassi, ogni volta che
incontravo J.B. Era ovvio, per lui, che il fascismo aveva di nuovo ricoperto il
mondo, lentamente, .senza che il mondo se ne accorgesse, come una nebbia
grassa. «È un fascismo diverso. naturellement, i mezzi sono
diversi, ma il fine rimane il medesimo: il monopolio del mondo, la concezione
del mondo umano come massa, l’irreggimentazione delle coscienze, lo svuotamento
delle intelligenze, e tutto questo attraverso nient’altro che il prodotto,
il mito del prodotto: dentifrici, macchine, gomma piuma, non importa - purché
l'uomo non riesca più a pensare, l’individualità sia annientata, e prevalga
l’uomo automatico, che un pulsante può spegnere e illuminare, che non pensa più,
né è immortale, in quanto ha rinunziato a se stesso».
Cose già dette, già ripetute, eppure enunciate
da J. B. spaventavano.
La sua macchina - non avevo alcun dubbio
che fosse una macchina rubata - nera, immensa, lucida, attraversava Roma a
qualsiasi ora della notte, come il raggio di un riflettore. Veniva da un punto
della costa, dove J. B. viveva accampato con della gente, e che mi rimase
sempre ignoto, e vi ritornava all'alba: ma, prima, fiume, parchi, rovine,
quartieri residenziali, colline, infuocate e morte vie del centro, volavano
intorno al suo muso come memorie. In quella macchina. J. B. rosicchiava a
volte, non visto, come un ragazzo, croste di pane.
«Non sono un gangster», mi disse una
volta, con voce dura.
«Ma potrei anche uccidere, se
occorresse», proseguì gentilmente.
Devo a J, B. delle vere rivelazioni in
materia di coraggio e di possibilità del coraggio a servizio della ragione.
«Noi possiamo distruggere anche la nostra infanzia, se questa infanzia è
ignobile, naturellement, e crearci una infanzia nuova. Non esiste limite
alle applicazioni della volontà. Ma occorre coraggio. Guardarci in faccia anche
se siamo morti, e non aver paura della nostra morte: solo così potremo riavere
la vita».
Ero sicura continuamente che sfuggisse
qualcosa o qualcuno, la legge e gli uomini, non giuravo più sulla sua
nazionalità né su alcune delle sue dichiarazioni; ma una qualità non avrei mai
potuto disconoscergli, una qualità quasi scomparsa dal nostro mondo: uno
sterminato, irruente coraggio, e il disprezzo totale della facilità, e una
irrefrenabile simpatia che portava in sé, nel suo ragionare eterno,
nella sua miseria e fuga, come un lampo di pace, di gioia.
Lo ricordo adesso, a distanza di un anno.
Locali, strade, colline, acque, ponti, giardini sono i medesimi; macchine, come
un mare di acciaio nero e blu, scintillano dovunque, e dovunque, praticamente,
J. B. potrebbe riapparire. e riprendere il discorso sulle nostre patrie perdute,
sulla facilità ch'è alla base di questa perdita, ma non riappare, non c'é più
J. B. Languidamente, sazia, assorta, la capitale splende nella pioggia,
ciascuno fa il suo gioco, la terra dorme e odora.