7a parte
Il signor
Legrand era un tipo energico, molto. Nato magro vi rimase per tutti gli anni
sino alla morte. Il volto poi asciutto dava, sin dalla più tenera età,
l’impressione del teschio, certo con un po’ di fantasia perché era, si può
asserire senz’altro, abbastanza bello. Al signor Legrand piacevano i soldi, non
perché abbiano un potere d’acquisto, ma per la sudditanza che (se ne accorse
subito) creano. Nato bene come posizione, oltre al fatto di uscire dal ventre
con la testa, i suoi pur non nuotando nell’oro, non avevano grossi problemi.
Si rese subito
conto che la sua figura magra dava nel distinto, occorreva quindi creare un
grosso portafogli affinché non rimanesse una semplice voglia della natura
andata a male.
A quarant'anni
la sua posizione era divenuta ragguardevole, avendo rinunciato a molte cose,
soprattutto a vivere come la gente comune solitamente fa.
Pareva l’unico
esempio di imperatore, senza peraltro avere alcun impero, anzi: i suoi
dipendenti, nel senso comune del termine che i vari contratti collettivi di
lavoro indicano, erano pochissimi, ma quelli che lo conoscevano e avevano
rapporti d’affari con lui erano tanti e, pur gestendo semplicemente un negozio,
li teneva in pugno.
A quell'epoca
(i quarant'anni appunto) sembrò imbizzarrirsi: comprò case, un grammofono,
lampadari, quadri, tappeti e fiori, persino un televisore, malgrado lo
detestasse: parve a tutti che finalmente il signor Legrand potesse cedere
economicamente ridiscendendo fra le comuni genti. Ma fu una parentesi breve, il
nostro beniamino riprese infatti, dopo un anno di follie, con maggiore lena,
il regime di prima, migliorando, anzi,
la propria posizione, facendo riacquistare al suo denaro il livello che nei
frattempo s’era evidentemente abbassato.
Non si sa bene
quale procedimento chimico fosse avvenuto in lui, perché da quasi calmo con
moto ogni tanto. divenne irascibile e se aggiungiamo quest’ultima qualità al
fatto che fosse energico, possiamo passare senz'altro a definirlo impossibile.
L’aria, se
ancora oggi possiamo parlare di questo elemento astratto già abbastanza per
conto suo, intorno a lui era irrespirabile, qualcuno molto più vicino di me
sostiene che contenesse elettricità ed il fatto può anche essere possibile,
dato che in quegli anni possiamo, consultando i giornali di quella regione,
constatare di quanto il tempo fosse peggiorato. Quest’ultimo elemento comunque
va oltre la nostra storia, non essendo affatto meteorologi: ciò che qui
interessa è seguire il nostro uomo nel suo sviluppo storico.
Per motivi
forse economici il signor Legrand non godeva della presenza di figli, a parer
suo, si dice, non giustificava neppure quelli degli altri, era quindi
tranquillo nei suoi lunghi sonni mattutini nonché pomeridiani, dandosi al
lavoro con gioia solo nelle ore serali e della notte.
La stessa
passione verso il lavoro era qualcosa di inconfondibile dalle altre comuni
passioni dell’uomo; se ne stava per ore a controllare, correggere e quindi
sistemare tutto ciò che alcuni idioti osano chiamare scartoffie e a lui offriva
un così grande attaccamento alla vita che diveniva morboso, quando trovava
degli errori.
Impietoso per
lunghe ore stava ritto tenendo davanti a sé quell'unico foglio che errori,
invece, non ne conteneva.
«Com'è
possibile!» strillava nella notte.
«Errare
humanum est!» si rispondeva, sentenziando.
«Sto forse male? inverosimile?»
«Debbo
trovarlo!» rigirava fra le mani il foglio traditore. Accadeva, anche sedi
rado, ch'egli non potesse trascinare dietro dei fogli colpevoli e mostrandoli
ai dipendenti, chiamandoli uno per uno, faceva loro presente che a lui, e solo
a lui, Legrand, non lo faceva fesso nessuno.
«Ha ragione,
ha ragione!» si difendevano in coro. Facendo osservare che aveva sempre
ragione con grande eloquenza e magnanimità, passava poi a parlare di politica
interna e della prossima caduta del governo ed il fallimento di tutte le
categorie che, diversamente da lui, non erano ordinati, completando con la
frase di prammatica:
«Prendiamo un caffé?» che per la verità significava solo che
qualcuno doveva andare a fare un caffé, e solo per lui.
Il signor
Legrand viveva così, con la sua energia, l’irascibilità, la passione per l’esattezza
e la moglie.
Attorno, ma un
po’ più in là, c’erano sorelle, fratelli, nipoti ed altri accidentalmente
imparentati suoi ma, nessuno, nemmeno la consorte, si era mai illuso di poter
far breccia né sul sentimento, né sul portafogli.
Il signor Legrand viveva così appunto fino al
giorno in cui per un errore di calcolo o per natura, mori.
Quella mattina
vennero in molti a vederlo, forse un po’ sollevati di tanto, non sappiamo bene,
né vogliamo peraltro essere maligni, comunque vennero, con le facce scure,
fecero le condoglianze (sentite) alla moglie.
Qualcuno disse perfino: «Chi l’avrebbe detto!»
Qualcuno disse perfino: «Chi l’avrebbe detto!»
Si fermavano
davanti alla salma e scappavano via.
Il signor
Legrand era fermo, con l’aria energica, i nervi delle guance ancora tesi come
per dire: «C’è un errore» irascibile e un po’, se possibile, più magro.
Il giornale
quel mattino uscì tutto in nero, tante erano le inserzioni sulla sua morte, ma,
come si dice, all'ultimo viaggio, non c’era nessuno, neppure la moglie.
I dipendenti
della ditta funebre erano meravigliati, ma poiché avevano altre consegne da
effettuare, caricarono l’elegante bara ed andarono via di tutta corsa, forse
consapevoli che quel giorno potevano smontare prima dal lavoro.
L’auto dovette percorrere tutta la città e
gli abitanti facendosi velocemente il seguo della croce e in tempismo col
carro, esclamavano:
«Sempre di
corsa, eh, signor Legrand! »
Il signor
Fontanarossa, addetto al cimitero dei Tre Cancelli, umile persona è ovvio, si
precipitò incontro al nostro eroe cantando in cuor suo: “E poi ti dicono che
soddisfazione c’è a fare un mestiere come il mio!”
Evidentemente
anche questo signore aveva avuto da fare col morto in un passato ormai remoto,
almeno per Legrand.