Piazza Stesicorea prima degli scavi, inizi del '900 Luccjo Cammarata e Beppe Costa: Catania, Guida ai monumenti, Muglia, 1974 - Prima parte |
Quando agli inizi degli anni '70 (non avevo ancora iniziato la mia attività di editore) decisi di scrivere una guida della mia città, chiesi aiuto al mio amico pittore Luccjo Cammarata, (scomparso, purtroppo qualche anno dopo) perché di Catania non esisteva alcuna guida, né tantomeno una guida ai monumenti.
C'erano alcuni libri di Stefano Bottari che mio nonno aveva stampato e che io ristamperò più tardi, appunto, quando inizierò a fare l'editore.
L'amore è certo per la mia città, da dove non me ne sarei voluto proprio andare. Ma tutto mi cacciava via: non era possibile ch'io mi tesserassi ad alcun partito e, fatta salva la vita lavorativa nella libreria di famiglia, nessun altro lavoro possibile mi sarebbe stato semplice.
A Catania? no! dovunque! e così è stato.
Inizio quindi a mettere qui questo volume, esaurito da tempo, nella speranza che ancora oggi possa essere utile a qualcuno.
Prima parte
Catania Gennaio 1974 |
Introduzione di Vincenzo di Maria
Offrire al lettore una guida di qualsivoglia itinerario,
turistico toponomastico artistico, non è fatto che rivesta importanza
culturale, se non si evidenziano dei motivi certamente più validi della
consulta di facile consumazione.
Ogni città è tempestata di guide e straripa di notizie
attinenti alla sua fondazione, al suo sviluppo urbano, alle sue caratteristiche
architettoniche e di rilievo per la attenzione di chi voglia frugare nelle
pieghe del tempo la sua anagrafe edilizia. Quel che manca è una visione
organica delle città attraverso il muto parlare dei suoi monumenti che
riferiscono etica ed estetica della sua vita segreta memorializzata appunto con
il linguaggio dell’arte. Ricomporre i frammenti della coscienza civica che ha
costituito, richiedendo le immagini più verosimili, l'edificio delle sue
vicissitudini storiche e restituirne l'assunto attraverso i collegamenti delle
vicende determinative dell’atto artistico, è un compito perlomeno arduo.
Una volta entrati nel labirinto dell’indagine storica per penetrazione
dell’indagine artistica, non è più possibile svicolare nel nozionismo a buon
mercato, in quanto ; richieste delle successioni storiche non permettono di
rientrare in un alveo di approssimazione deterministica del tutto inutile ed
incoerente. In sostanza, quello che noi chiamiamo storia non è che la sintesi
verificabile di un complesso di accadimenti non documentabili dalle carte ma
documentati dalle opere che alle carte si sostituiscono nella «restanza»
materica che il tempo erode ma non riesce a divorare completamente; quando
basta una traccia, un dettaglio per consentire una correlazione costruttivistica
idonea a completare la struttura di quel segno, di quel gesto, di quel
comportamento che compendiano in forma definitiva tutte le componenti vitali di
una gente complicata nell'economia del vivere civile.
Nel caso specifico di una città come Catania, più volte
risorta dalle macerie laviche, tale da essere definita l’Araba Fenice del
Mediterraneo insulare, si richiede una indagine più complessa che riesca a
serrare, non soltanto cronologicamente, i diversi momenti e i diversi innesti
delle civiltà acquisite con la naturale mutevole matrice degli intendimenti
perseguiti nel memorizzare la storia. Rilevando che dalla Sicilia sono passati
Greci, Fenici, Arabi, Bizantini, Svevi, Normanni, Angioini, Aragonesi, Borboni,
Savoiardi, con l'intreccio di influenze sassoni e provenzali, una possibile
suturazione di linguaggi e di epoche, in uno studio che vuole essere
soprattutto itinerario culturale, si rende quanto mai difficoltosa se pur ricca
di derivazioni poetiche ed inventive. Il positivo merito di questa guida risiede
appunto nel sottile ricamo di stesura che gli autori hanno condotto non
tralasciando di esaltare il gusto dell'arte attraverso la sua realizzazione in
aderenza alle suscitate e resuscitate memorie espressive, che ciascuna nuova
componente è venuta ad innestare sul ceppo d'origine profondamente classica
della Katàne sorta come fortilizio di un agglomerato etnico, che doveva
riassumere le più fini ragioni speculative dell'isola. Non a caso uno dei due
autori della presente guida è un artista del pennello. Soltanto con l'occhio
del restauratore si sarebbe potuto attraversare tutto il territorio artistico
catanese ripercorrendo un ideale viaggio interamente disteso da un capo all’altro
delle testimonianze monumentali senza perdere di vista l’intimo senso dei
contenuti sociali e demo-psicologici che traspaiono da ogni pietra e da ogni
tela sistemate nel cerchio della città.
Questo vale come misura di progettazione e dì intendimento
nel contesto delle migliori tradizioni della critica d’arte storicamente esposta
al pubblico.
Frammenti di colonne in marmo pario che si trovano sparsi all'interno del teatro. Molti di questi materiali vennero usati, in passato, soprattutto nel settecento, per arricchire gli edifici della città. |
L’immortale volto di Catania sepolta
Le falde meridionali dell’Etna bagnate dal mar Jonio tinto
d’un turchese intenso (rarissimo accostamento mare-neve), il clima mite e la
vegetazione mediterranea profumata di zagara dovettero stimolare non poco i
sensi di quei coloni calcidesi che, irresistibilmente incantati da questa scenografia
naturale, decisero di stabilirvisi nel 729 a . C..
Protetta di fronte dal mare e alle spalle dal vulcano, e
idealmente sulla rotta fra la
Grecia e il resto del mondo antico (fatto, questo, che favorì
enormemente il commercio), Catania venne contesa durante il corso della storia
da Siracusani, Greci, Cartaginesi, Musulmani, Normanni, Svevi, Angioini,
Aragonesi e da ogni altro popolo mediterraneo assetato di conquista e di potere.
Oltre che essere travagliata dalle vicende storiche umane,
la città ha dovuto sempre tener testa al suo amato vulcano: esso ha infatti
fatto pagare il prezzo della sua bellezza alle genti del luogo con sacrifici immensi
e, spesso, con contributi di vite umane. Distrutta più volte da eruzioni
vulcaniche e da tremendi terremoti, Catania è sempre risorta più bella dì
prima, e più di prima dotata di una volontà di vita e di uno spirito
organizzativo non comune.
Parlando della fondazione della città, lo storico Tucidide
afferma che «quattro anni dopo la fondazione di Siracusa, i Calcidesi di Naxos,
guidati da Tucle, fondarono Leontini, cacciando con le armi i Siculi, e dopo
Katàne. I catanesi nominarono ecista uno di loro, Evarco... (VI-3) e
probabilmente si stabilirono sull'altura su cui oggi sorge il Convento dei
Benedettini, che fu sede dell'Acropoli.
Il testo di Tucidide e lo stesso nome di Katàne (che non è
greco, infatti) fanno supporre la presenza d’un abitato anteriore alla
colonizzazione calcidese, anche se ciò non è del tutto dimostrato, data la
scarsità di documenti archeologici dell’epoca, scarsità dovuta al fatto che
l'area urbana è coperta in superficie da edifici romani e bizantini. Qualche
risultato si è in questo senso ottenuto in periferia, dove sono state rinvenute
(in località Barriera del Bosco e Novalucello) delle grotte di scorrimento
lavico utilizzate come abitazione circa nella prima metà del secondo secolo a.
C.. Frammenti di ceramiche preistoriche e materiali risalenti alla prima e
media età del bronzo sono pure venuti alla luce qualche anno fa in via
Ingegnere, durante lavori occasionali.
Del periodo arcaico catanese quasi nulla si conosceva sino
ad un decennio fa, quando a piazza Dante, cioè nell'area dell’antica acropoli,
vennero rinvenute ceramiche protocorinzie risalenti ad epoche poco posteriori
alla fondazione della città. La scoperta più importante avvenne nel 1959, come
sempre in maniera fortuita, nella parte meridionale dell’acropoli, nell’area
dell’attuale piazza S. Francesco con l’attiguo tratto di Via Vittorio Emanuele.
Venne rinvenuta una stipe votiva ricca di materiale rilevante per la documentazione
dei rapporti intercorsi fra Katàne calcidese e gli altri centri del mondo greco
arcaico: Vennero alla luce ceramiche attiche e corinzie, prodotti delle
fabbriche di Rodi e di Chio, nonché centinaia di kore che testimoniano
l’esistenza di officine di koroplasti catanesi. Questo materiale, oggi
custodito nel museo civico del Castello Ursino, è senza dubbio di enorme importanza
in quanto documenta come l’ambiente artistico catanese del VI secolo a. C.
fosse aperto alle influenze del mondo greco arcaico, definendo meglio la sua
fisionomia politica e intellettuale. Trovano così più chiare valutazioni i
contatti della città con artisti come Stesicoro e Ibico, filosofi come
Senofonte e legislatori come Caronda.
Katàne conosce il suo massimo splendore fra il VII e il VI
secolo a;C., quando, in seguito sua entrata nell'area politica dell’imperialismo
siracusano, si ingrandisce ed i suoi scambi commerciali divengono febbrili;
basterebbe poter dare uno sguardo alla topografia della città in quel tempo per
avere un quadro sorprendente dei suoi edifici, un’idea della sua estensione
urbanistica e della bellezza delle sue architetture, per avere, n sintesi, la
rivelazione d’un mondo affascinante, sconosciuto ma pur sempre vivo: una
continuità dì stirpe e dì ambiente dove è possibile rintracciare il costume dei
nostri antenati.
Sarebbe lavoro inutile e fuor di luogo, almeno |per il
nostro scopo, tracciare un arido elenco di tutte le scoperte archeologiche
effettuate, ma ricordarne qualcuna senza un preciso piano di studio può essere
senz'altro interessante ai fini di una più chiara valutazione di quella che fu Catania,
più volte distrutta e più volte ricostruita.
Un angolo del Teatro Antico che sorge sul lato sud della collina dell’acropoli. Misurava 86 metri di diametro ed aveva una capacità ricettiva di 7.000 spettatori. |
Nel 1927, durante lavori di scavo che il Genio Civile eseguiva
per l'imbasamento del muro di sponda dell’antico porto, i palombari portarono
alla luce, da metri 9,50 al di sotto del livello dei mare, una scultura che,
attraverso i secoli si era mantenuta in perfetto stato di conservazione,
essendo rimasta coperta dalla sabbia proveniente dal fiume Simeto.
Il gruppo in marmo diomeo (la grossezza del materiale suggerì
ai competenti la provenienza greca), è sicuramente classico, e lo stato grezzo,
che esso presenta, lascia pensare che l’opera sia rimasta incompiuta. Quando fu
portato alla luce, il pezzo era mutilato e misurava l’altezza cm. 70, lasciando
però ritenere che originariamente superasse il metro. Rappresenta la lotta fra Ercole
e Anteo: l’eroe è colto nell'atto di sollevare da terra l’avversario.
Questa maniera di impostare la composizione fa ritenere il
gruppo appartenente al periodo classico in quanto quelli conosciuti di periodo arcaico
sono caratterizzati dalla raffigurazione della lotta in piedi cosiddetta
«volutatoria», che troviamo infatti nella pittura vascolare di Eufraso. La durezza
delle linee nonché la mancanza di scioltezza nella rappresentazione del
movimento fanno ritenere il gruppo una delle più antiche opere plastiche del
genere e lo fanno supporre appartenente al V secolo a. C.
Non si è in grado di stabilire l’originaria collocazione del
gruppo marmoreo. Si è formulata l'ipotesi che fosse un pezzo adoperato come
zavorra da qualche trireme greca affondata in quel punto; ma molto più
probabilmente esso faceva parte di un edificio o di un frontone, essendo la parte
inferiore semplicemente sbozzata, e forse apparteneva ai ruderi dell’antico
Gymnasium che secondo le carte cinquecentesche si trovava nei pressi del porto.
Ecco un altro punto della vasta zona archeologica su cui si
estendeva Catania al tempo greco: essa abbracciava la zona compresa fra
l’acropoli e piazza S. Maria del Gesù da un lato, mentre dall’altro copriva la
superficie compresa tra l’acropoli e il mare, allargandosi fino a piazza
Stesicoro. Cronisti dei secoli passati ci parlano di vestigia e ruderi oggi
totalmente scomparsi. Dell'esistenza di un tempio dedicato al dio Vulcano ci
parlano Eliano, Grazio, Cicerone, Fazello, Cluverio e Amico: questi ci dicono
che esso sorgeva sul colle detto «di Cerere» alle falde della collina di S.
Sofia. Gli autori attestano che questo tempio era attiguo a un bosco sacro al
dio, riconfermando così la tradizione, comune a molti santuari greci e romani,
del «dio del bosco» (un esempio famoso è quello del bosco sacro di Ariccia
dedicato a Diana cacciatrice). Nel tempio si conservava il fuoco sacro perpetuo
custodito da cani mastini che, opportunamente istruiti dai sacerdoti, attaccavano
chi si avvicinava al santuario senza essere nello stato di grazia o con le mani
lorde di sangue o più semplicemente senza recare doni. Claudiano favoleggia che
nei pressi del monte S. Sofia Plutone aprì la strada per l’Ade rapendo
Proserpina.
Di un tempio dedicato al dio Fido, nume del culto sabino che
presiedeva ai giuramenti, pare certa l'esistenza. Il Bondice sostiene che esso
si trovava nei pressi del Porto Saraceno; l'Amico lo chiama «Arcora» a causa
dei vicini acquedotti arcuati. La costruzione era di forma triangolare e venne
rasa al suolo dal viceré Giovanni Vega in occasione della costruzione delle
mura attorno alla città. Il Fazello ci narra che nel 1554 fu rinvenuta, in
occasione degli scavi per il lido del porto Saraceno, una lapide scolpita con l’immagine
del dio e una iscrizione a lui dedicata; la lapide andò in seguito a finire a Palermo
nelle mani di Alfonso Royis, grande estimatore di archeologia.
È cosa certa che la Katàne del 450 a . C. ebbe un ruolo politico rilevante in
quanto alleata di Atene contro Siracusa. I catanesi ospitarono e afiancarono
l’esercito ateniese comandato da Alcibiade, sicuramente per vendetta contro la
vicina potenza che nel 475 a .C.
aveva occupato, con una spedizione militare condotta da Gerone, la città
cacciandone i calcidesi, ripopolandola con diecimila dori e ribattezzandola Etna. [segue...]