Guida ai monumenti, Muglia, 1974
Monumenti sorti nel 700, gioielli di marmoreo merletto
II settecentesco prospetto del Palazzo di Città che da sulla piazza Duomo |
La fisionomia
di Catania è basata in massima arte su un elegante barocco settecentesco, voluto
da uomini come il duca di Camastra che, insieme al canonico Cilestri, disegnò
la pianta della città. In questo lavoro essi furono coadiuvati dal vescovo
Riggio e, soprattutto, dall'architetto palermitano Giovan Battista Vaccarini che
diede alla città l’impronta del suo gusto, operandovi per lungo tempo (nel 1735
fu nominato architetto di Catania).
Cercando di
svolgere un discorso organico, il monumento che poniamo per primo all’attenzione
del lettore (anche se non è il primo in ordine di tempo) è la chiesa di S. Agata
al Carcere, nella quale vennero impiegati i resti del portale della distrutta Cattedrale.
La cattedrale |
Si notano nel
portale molte sconnessioni non solo nelle strutture architettoniche, ma anche
nelle sculture che poggiano sull’archivolto e che non rispondono più alla disposizione
originaria Quale fosse l’ordine in cui era distribuita la figurazione in rilievo
risulta dalla descrizione che ci viene data dal Guarnieri, al quale dobbiamo anche
la spiegazione del succitato simbolismo di Catania e Federico II, nel suo
«Zolle historiche catanee» del 1651.
L 'interno della chiesa presenta a destra una porticina
che immette in un ambiente appartenente all'antica costruzione (il carcere?),
nella quale trovasi un dipinto raffigurante «S. Agata morente»; nell’abside dell'altare
maggiore un interessante dipinto del greco Bernardinus Niger, datato 1588,
raffigura «S. Agata condotta alla fornace». La chiesa ha tre altari e in quello
del Crocifisso è conservato un reliquario, opera del senese Giovanni Di tolo,
del 1376.
Una panoramica dei settecenteschi palazzi dell’arcivescovado, così come appaiono da via Dusmet |
Il primo monumento
settecentesco di Catania, in ordine di tempo, è il ricostruito Duomo, la cui
fabbrica si iniziò nel 1709, dopo appena dieci anni dal terremoto, sotto il
vescovo Riggio.
La chiesa,
dedicata alla patrona di Catania, S. Agata, fu iniziata fra il 1091 e il 1092,
sulle rovine delle terme romane Achillee, per ordine del normanno Ruggero,
conquistatore della città nel 1074, e venne consacrata nel 1094 dal vescovo
bretone Ansgerio. Distrutta dal terremoto del 1169, venne ricostruita sotto il vescovo
Roberto; i lavori, intrapresi nel 1171, si protrassero sino al tempo di Arrigo
VI, anche perché la volta rifatta a travi venne distrutta, poco dopo la costruzione,
da un violento incendio. II portale su accennato ci lascia ragionevolmente
supporre un ulteriore rimaneggiamento avvenuto sotto Federico Il o comunque nel
secolo XIII.
Il Duomo venne
ricostruito dalle fondamenta, in quanto completamente distrutto dal terremoto,
tranne che nella parte absidale. Il disegno fu affidato all'architetto Girolamo
Palazzotto e successivamente la costruzione fu completata Giovan Battista
Vaccarini, che vi lavorò dal 1730 al 1758. Sei anni occorsero infatti
all'architetto palermitano per erigere il magnifico prospetto in marmo a due
ordini di colonne: le inferiori, in granito, si pensa provengano dall'antico Teatro.
La facciata è in alto ornata da una nicchia con S. Agata e un angelo. Nel
prospetto del fianco sinistro, realizzato a lesene accoppiate, primeggia il
bellissimo esemplare di portale marmoreo attribuito a Gian Domenico Mazzola di
Carrara e risalente al 1577. Il campanile è opera del tardo ottocento (1869),
mentre la balaustra che cinge il Duomo ai due lati è stata costruita tra i
primi dell’ottocento e ultimata nel 1908: la sua lunghezza è di m. 120 circa; è
sormontata dalle statue di nove santi siciliani cioè Leone, Attanasio, Luca,
Rosalia, Beato Bernardo Scammacca, Attalo, Sesto, Giacomo, Everio. Nel giardino
aperto sul lato sinistro v’è una mediocre statua classicheggiante del XIX colo,
raffigurante «La fede».
Della primitiva
costruzione normanna rimangono i muri perimetrali incorporati nella nuova fabbrica,
il transetto fiancheggiato dalla parte inferiore da due torri incompiute, le
tre maestose absidi semicircolari di lava, con la fila di alte arcate ogivali
di tipo arabo, che si levano su alta zoccolatura basamentale, visibili all’esterno
dal cortile dell’Arcivescovado, e le due Cappelle del Crocifisso e della
Madonna. Nel XIX secolo, sotto il vescovo Deodato, furono aggiunti degli
ornamenti in stucco all’interno, stucchi che nascosero le strutture della parte
normanna, e venne rialzata la cupola della chiesa. Solo recentemente queste
strutture sono state liberate riportando così la vecchia costruzione al suo
aspetto originario.
La chiesa, con
pianta a croce latina, è divisa all’interno in tre navate dove, addossate ai
pilastri di quella mediana, sono situati i monumenti dei Vescovi e degli Arcivescovi
qui traslati. Fra gli altri, va notato il monumento dedicato Vincenzo Bellini,
morto nel 1835 a
Puteaux all’età di 33 anni, sepolto a Parigi e qui traslato nel1'876; il
monumento sepolcrale, opera del fiorentino G. B. Tassara, porta la medesima data
della traslazione e simboleggia il mondo musicale del Cigno catanese: epigrafe
dell'urna sono le note della famosissima melodia della Sonnambula («Ah, non credea
mirarti, sì presto estinto, o fiore!»).
L'arioso scalone d'ingresso di Palazzo Biscari, opera dell'architetto Antonio Amato |
Gli altari delle
navate laterali sono sormontati da ricche pale incorniciate da stucchi dorati
in stile rococò. Nella navata destra figurano nell’ordine: un notevole affresco
di Giovanni Tuccari raffigurante «Il battesimo di Gesù»; «S. Rosalia e S.
Febronia» di Guglielmo Borremas Nella navata sinistra: «S. Antonio Abate» del
Borremas e «Il martirio di S. Agata» di Filippo Paladino (1605).
Sul primo
pilastro sinistro notiamo un bellissimo esempio quattrocentesco di acquasantiera
a intarsi marmorei.
Le due cappelle
della Madonna e del Crocifisso, si aprono in fondo alle navate laterali; quella
della Madonna (posta sul lato destro) accede attraverso un portale marmoreo del
1545, opera di G. B. Mazzola, recante nella lunetta; rappresentazione della
«Incoronazione della Vergine» e, negli stipiti, scene di vita della stessa. All’interno,
oltre alla statua del secolo XVI sistemata sull’altare, trovano posto due
sarcofagi: quello della parete destra (del III secolo) proviene dall’Asia
Minore e serba le spoglie di Federico III d’Aragona (morto nel 1337), del
figlio
Giovanni da
Randazzo, del re Luigi (morto nel 1355), del re Federico III (morto nel 1363),
della regina Maria moglie del re Martino (morta nel 1402) e di suo figlio
Federico; quello di sinistra, più classicheggiante e ricco di decorazioni, con una
figura giacente di donna dal viso piuttosto brasato è di scuola napoletana del
periodo gotico e serba le spoglie della regina Costanza, moglie di Federico III (morta nel 1363).
Il portale attraverso
cui si accede alla cappella del Crocifisso reca sugli stipiti scene della passione
e nella lunetta «La pietà», opera di G. D. Mazzola, del 1536.
Nella cupola semicircolare
della centrale delle tre absidi si ammirano gli stupendi affreschi di Corradino
Romano, da non molto restaurati, eseguiti nel 1268 e raffiguranti il «Trionfo
di S. Agata» e alle pareti i martiri catanesi; in basso si nota il prestigioso
coro ligneo intagliato dal napoletano Scipione di Guido (1588) e che illustra
le vicende del corpo della Santa. Una cancellata in ferro battuto di notevole interesse
immette nell’abside destra, che è la cappella di S. Agata, adorna di sculture
quattrocentesche eseguite dal messinese Antonello Freri (che si avvalse di un aiuto).
Il trittico marmoreo raffigura S. Agata incoronata da Gesù, e la Maddalena fra i santi Pietro e Paolo. Nella parete
destra della cappella si ammira il monumento al viceré Ferdinando d’Acuna
(morto nel 1494), notevole per l'abbondanza delle dorature; dalla parete di
sinistra si accede al Tesoro di S. Agata. Qui si trova un reliquario in argento
ricco di smalti e di ceselli, opera eseguita nel 1376 nelle officine di
Limoges dal senese Giovanni Di Bartolo, che contiene il teschio della Martire;
vi è inoltre uno scrigno gotico con in rilievo statuette di santi e che raccoglie
all’interno, in artistici reliquari, il velo e le altre membra della Santa.
Scrigno e
reliquari — squisito lavoro dell'oreficeria siciliana — furono eseguiti da
Vincenzo Archifel e da Paolo Guarda che eseguì con ogni probabilità il
coperchio).
Nei magazzini
del Duomo si conserva ancora il fercolo in argento che serve per il trasporto della
Santa attraverso la città, che, cominciato a Antonio Archifel nella prima metà
del XVI secolo, venne ultimato da Paolo d’Aversa nel 1638. Né vanno dimenticati un paliotto in argento eseguito
dal messinese Saverio Corallo nel 1721 e i sontuosi torceri, opera del figlio
Vincenzo. Del tesoro fanno pure parte una corona con pietre preziose che si
vuole donata alla Santa da Riccardo «The Lion hearted».
La sagrestia,
oltre all’affresco del Platania già citato, possiede dei bellissimi armadi
intagliati del XVIII secolo.
La caratteristica Porta Uzeda del 1696 che immette all'antico porto vecchio |
Di fronte al
fianco sinistro del Duomo, in via Vittorio Emanuele, si erge la magnifica
chiesa dell’ex monastero di S. Agata, che è certamente la migliore delle opere
eseguite dal Vaccarini nella città, dedicata alla Santa da Ferdinando IV re di
Sicilia e dal papa Pio VI. La chiesa, che può considerarsi una delle più belle
opere del settecento siciliano, fu costruita fra il 1735 e il 1767. Il
prospetto, originalissimo per la facciata; concavo-convessa in pietra calcarea
a unico ordine di lesene, s'innalza su di una scalinata maestosa ed è preceduto
da una ricca cancellata in ferro battuto. L'interno è quanto mai armonioso, la
pianta a sistema centrale è costituita da un ottagono dal quale si dipartono
dei bracci formando una croce greca; su di essa è impostata la grande cupola
che domina l'edificio e che si accorda con le armoniose linee della facciata.
Le cinque cappelle angolari realizzate ad abside presentano la stessa nobiltà
dell’esterno in quanto tutte eguali, in marmo giallo con sopra ogni altare una
statua.
Interessante è
la decorazione a stucchi, soprattutto per la sua semplicità; semplicità che
risalta nei ballatoi posti all’ingresso e sui bracci laterali dove i coretti,
in stile rococò, provvisti di grate, permettevano alle suore di assistere alle
funzioni.
Nel braccio
Est è pure d’un certo interesse la cappella del Crocifisso, soprattutto per la
ricchezza di marmi policromi; e non va trascurato il pavimento per la
disposizione geometrica delle piastrelle con decorazioni grigie e bianche.
Al fine di
dare una panoramica dei monumenti che si trovano nell’area della Cattedrale
evitando in tal modo ritorni e confusioni, è bene; occuparsi di un gruppo di
opere di grande interesse che, anche se non tutte settecentesche, trovano posto
nella piazza del Duomo.
Innanzitutto
la fontana dell’Elefante, simbolo della città. Posta al centro della
rettangolare piazza settecentesca, armoniosa per l’insieme degli edifici che la
circondano, la sua costruzione si deve in gran parte allo stesso Vaccarini;
l’iscrizione posta dietro il monumento porta la data 1735/1736. L’architetto
s’è ispirato nel disegnarla alla contemporanea fontana del Bernini in piazza
della Minerva in Roma, ma, a differenza del monumento romano, quello di Catania
ha un aspetto rinascimentale dovuto alla maggiore staticità delle linee. Sul massiccio
basamento marmoreo ornato di putti e vaschette, Vaccarini pose il monolitico
Elefante in pietra lavica già esistente, rifacendone i piedi mancanti e
innalzando sul dorso dell’animale un obelisco egiziano di granito di Siena alto
m. 3,61.
Sia l'Elefante
che l’obelisco sono di tarda età romana e probabilmente appartenevano ad un
circo. L’Elefante è detto dal popolo «Liotru» perché posto in rapporto con la
stregoneria del mago Eliodoro, famoso negromante catanese in epoca bizantina.
Il «Liotru» è legato a un culto orientale e secondo la leggenda fu gettato
fuori le mura dai cristiani. Riportato in città verso la metà del XVI secolo, venne
usato come monumento decorativo prima di un arco, poi del Palazzo di Città, quindi
venne abbandonato per molto tempo, finché fu riadoperato dal Vaccarini.
U «Liotru» con l'obelisco, simbolo della città in piazza Duomo |
L'obelisco, privo
del basamento (eliminato dall’architetto per poterlo adattare sull’Elefante e
che si trova tuttora conservato nella corte del Castello Ursino), porta incisi
dei geroglifici relativi al culto della dea Iside; pare che anch’esso
appartenesse al circo di Catania.
Altre due
figure ai lati del basamento sono poste sulle vaschette a conchiglia: simboleggiano
il Simeto e l'Amenano (fiumi del cata-nese; il secondo passa per piazza Duomo).
Le due vaschette, posteriori alla costruzione del monumento, sono del 1757 una
e della metà dell’800 l’altra.
Sempre al
Vaccarini si deve il Palazzo di Città, realizzato nel 1741, e che è posto nel lato
Nord della piazza. Esso ha pianta rettangolare ed è impostato su tre ordini
spartiti da lesene, ha il piano inferiore della facciata a bugnato con delle finestre
balconate e a timpano spezzato al primo piano. Quattro portali posti sulle facciate
dell’edificio danno accesso all’ampio cortile centrale. All’interno viene conservata
una serie di grandi tele, opere del pittore Giuseppe Sciuti, dell'ultimo
ottocento.
Di fronte al
Municipio, sul lato Sud della piazza, si erge l’elegante palazzo che fu un tempo
il Seminario dei Chierici, opera di Alonzo di Benedetto (inizio del XVIII secolo)
e caratterizzato dalle alte lesene bugnate che spartiscono i piani.
Attaccata al
suo fianco sinistro si apre la bella e caratteristica Porta Uzeda, costruita
nel 1696 e che dà sull’ antico Porto Vecchio. Una icona sulla parete raffigura
un «Ecce homo» opera del pittore Mario Siracusa (primo ’900). Di fronte, ormai
fuori della piazza, troviamo il Giardino Pacini con un monumento al musicista
eseguito da Giovanni Dupré.
Sul lato
destro dell’ex Seminario dei Chierici in uno spiazzo che porta in Pescheria, si
erge la Fontana
dell’Amenano, chiamata dai catanes «acqua a linzolu» per il gioco dell'acqua che
dalla grande vasca cade nel fiume che scorre sotto il monumento. L'opera è
firmata da Tito Angelini (1867) e raffigura una statua apollinea reggente una cornucopia
e due tritoni con buccina. Di là dalla fontana si apre la pescheria col
massiccio arco di Carlo V e la
Porta del 1553 che immette nello spazio dello scomparso Porto
Vecchio e che è l’unica rimasta delle otto originarie che si aprivano nella
cinta muraria.
Costeggiando i
vecchi bastioni lungo la via Dusmet, troviamo i magnifici palazzi settecenteschi
dell'Arcivescovado che si affacciano sul mare, e il Palazzo Biscari, pregevoli
per la ricchezza della frastagliata decorazione e per il gioco cromatico della
pietra bianca delle lesene e delle finestre in contrasto con la pietra lavica
dei muri.
Dalla via
Museo Biscari si accede al palazzo Biscari, la cui facciata è opera di Antonio
Amato; passando attraverso un ricchissimo portale intagliato che immette in un
ampio cortile e per un’aerosa scala arabescata si accede alle magnifiche sale;
tra queste notevole il grande salone per ricevimenti dalla volta a cupola: un soppalco
appositamente creato, all'altezza del cornicione, ospitava i musici durante le
feste. Si arriva all’orchestra attraverso un'armoniosa scala che si trova nel
transetto adiacente al salone stesso. L'edificio fu sede del museo che, come
abbiamo già accennato, venne realizzato da Ignazio Paternò nel '700, museo ricchissimo
di materiale che venne nel 1932 donato al comune entrando a far parte del Museo
Civico (eccettuati i gioielli e l’armeria che, dopo la morte del fondatore,
finirono all’estero).
Sotto il
palazzo dell’Arcivescovado, lungo le mura, v’è una fontanella con un’iscrizione
e un bassorilievo marmoreo del busto dì S. Agata; esso ricorda la costruzione
di una strada lungomare e di un antemurale del 1621 ad opera del Governatore
Francesco Lanario, nel punto esatto da cui partì (nel 1040) il corpo della Santa
catanese allorché fu trasportato a Costantinopoli da Giorgio Maniace.
Uno dei balconi di Palazzo Biscari, sul lato di via Dusmet |
Poco lontano
da Piazza Duomo, sorge sulla via Etnea la maestosa Chiesa della Collegiata senza
meno una delle più belle chiese barocche cittadine. Elevata alla dignità di
Basilica da Pio XII nel 1946, la chiesa prende il nome dal fatto che in essa esercitava
il sacro ministero un Collegio di Sacerdoti; venne eretta (come dice
l'iscrizione posta sulla porta centrale) nel 1768 sulle rovine della cappella
regia degli Aragonesi, per opera del cantore D. Joes Frac, Lullus e fu dedicata
a S. Maria dell’Elemosina, a cui era dedicata nello stesso luogo un’edicola bizantina.
Il progetto si deve al gesuita Angelo Italia; questi ne iniziò la costruzione
unitamente all’architetto Antonio Amato. Stefano Ittar la terminò e ne realizzò
il prospetto che, per la purezza delle linee, viene considerato il capolavoro
dell’architetto romano, anche se è evidente il collegamento con certe
architetture del Borromini soprattutto nella parte alta dell’edificio; qui però
si notano una calma e un equilibrio ben diversi dalle concezioni borrominiane.
La facciata si presenta a triplice concavità, col corpo centrale che si eleva
movimentato, includendo una nicchia a balcone terminante in un fantasioso
coronamento. La pianta a croce latina (disegnata dall’Italia) è divisa in tre
navate da otto pilastri; ai primi due si appoggiano due fonti marmorei.
Le volte della
navata mediana e dei transetto, nonché la cupola, sono affrescate con pitture
del XIX secolo, eseguite dallo Sciuti; vi troviamo, inoltre, un dipinto del
XVIII secolo eseguito da Olivio Sozzi, raffigurante «La Gloria di S. Apollonia»;
una tela dì Francesco Gramignani raffigurante «S. Agata portata al supplizio» e
una «Sacra Famiglia» attribuita al palermitano Desiderato. Sulle pareti
laterali del Presbiterio una serie di quadri dello Sciuti (1898) illustra la creazione
del capitolo dei canonici da parte di Eugenio IV, avvenimento che segnò la
fondazione della chiesa.
Un cenno particolare
merita il prezioso organo intagliato e dorato, di tipica costruzione
settecentesca, posto dietro all’altare maggiore. La fabbrica dell’edificio
della Collegiata fu terminata solo nel 1815, anno in cui avvenne l’inaugurazione
dell’aula capitolare e della sagrestia, realizzata dall’architetto Sebastiano
Ittar, figlio del precedente, e famoso come incisore e grandissimo disegnatore.
Oltre alla notissima pianta topografica della città di Catania, dedicata dall’lttar
a Ferdinando II di Borbone (che aveva espresso il desiderio di possedere una
sua opera), vari sono gli album di incisioni realizzati dall’artista, e fra i
più famosi: la «Raccolta degli antichi edifici di Catania» e «Viaggio pittorico
sull’Etna». Ma Ittar fu soprattutto noto all’estero per aver eseguito per conto
di Thomas Bruce Elgin (noto per le spoliazioni dei monumenti greci a favore del
governo britannico) i rilevamenti dell’Acropoli d’Atene; rilevamenti che, per
la precisione e l’alto valore artistico, gli valsero numerose benemerenze, come
quella della Società libera delle Belle Arti di Parigi (1831) e la nomina a
membro onorario dell’istituto degli architetti Britannici (1836). Il 29 agosto 1833 l 'amministrazione
municipale catanese lo nominava architetto comunale.
Sempre sulla via
Etnea, nella zona compresa fra la piazza del Duomo e la Basilica della Collegiata,
si apre piazza dell’Università, altra importante opera del palermitano
Vaccarini.
Palazzo dell'Università, riedificato dopo il terremoto del 1693 |
All’interno
dell’edificio, nell’aula magna, si trova un magnifico arazzo raffigurante lo
stemma della casa aragonese fondatrice dello Studium, arazzo disegnato dal
Siviero ed eseguito dagli arazzieri Eroli; notevole, inoltre, l'affresco della
volta firmato da Giovan Battista Pipero (1755).
Importantissima è senza dubbio la biblioteca dell'Ateneo (posta al primo
piano dell’edificio), funzionante sin dal 1755 e che possiede più di 160.000
volumi, fra cui non poche rarità bibliografiche: codici antichi, incunaboli e
manoscritti di rara eccezionalità (basti citare le «Consuetudines Civitas
Cataniae» del 435, e le prime edizioni del Savonarola)