Catania, Guida ai monumenti, Muglia, 1974, sesta parte

Luccjo Cammarata e Beppe Costa: Catania,
Guida ai monumenti, Muglia, 1974

La via dei Crociferi e i monumenti barocchi sull'Acropoli

Ogni città ha una via che, per motivi architettonici o storici o folkloristici, gode di un’attrattiva e di un fascino particolari.
Un angolo di via dei Crociferi. In primo piano l'ex Convento dei Gesuiti
È questo il caso della catanese via dei Crociferi; essa, per la ricchezza e la validità dei monumenti di cui si vanta, emana una suggestione tale da mettere chiunque abbia un minimo di sensibilità artistica in uno stato d'animo che, senza esagerare, potremmo chiamare di «grazia». Purtroppo il traffico caotico e assordante ha un po’ attenuato l'atmosfera tipica di questa strada; ma fino a pochi anni fa chi passava (specialmente nelle ore mattutine o al momento dell'Angelus) si trovava come ravvolto nei canti dei cori provenienti dalle chiese e dai delicati suoni degli organi misti, in soavi armonie, coi rintocchi delle campane provenienti dai conventi. Oggi solo nelle ore notturne si possono vivere simili momenti, solo allorquando la strada è sgombra di automobili e i fari posti a illuminare le chiese colorano d'una drammatica teatralità le linee barocche i prospetti dei monumenti su esse poste dal gusto dei costruttori
La suggestiva via Crociferi è lunga non più di quattrocento metri; essa percorre a mezza costa la collina che ad occidente sovrasta la città. Quasi sicuramente è la più antica strada cittadina in quanto è la stessa che in periodo romano univa il Teatro all’Anfiteatro, collegando ad essi, con una trasversale, pure l’Odeon. Partendo da piazza S. Francesco essa si stende in linea retta, con una discreta pendenza, fino al bastione di Carlo V, terminando davanti al portale della principesca Villa Cerami.
La piazza le fa da vestibolo con al centro il monumento bronzeo al Cardinale Benedetto Dusmet che giganteggia — se pure ritratto in maniera piuttosto innaturale — nell’atto francescano del pio che dona ai poveri. Ai lati del basamento due formelle bronzee, raffiguranti scene della vita del Presule, sono opera dello scultore catanese M. M. Lazzaro, recentemente scomparso.
Sul lato destro della piazza, corrispondente alla parte meridionale dell’Acropoli greca, sorge la chiesa di San Francesco, comunemente chiamata dell’Immacolata, che apre la serie chiese e conventi che si affiancano sui due lati di via Crociferi. La chiesa ha un’imponente facciata a due ordini di lesene che, pur se di scarso valore artistico, sono di grande effetto monumentale. L’interno della chiesa, a tre navate, è di maggiore interesse; ivi è conservata la salma di Eleonora d’Angiò moglie di Federico II d’Aragona. Troviamo nella chiesa una serie di dipinti di discreto interesse: uno «Sposalizio della Vergine» di Antonio Gramignani, una copia dello «Spasimo di Sicilia» di Raffaello (1541) firmata da Jacopo Vignerio, le «Virtù cardinali» dipinte da Olivio Sozzi (questi ultimi si trovano sui pennacchi della finta volta). V’è inoltre una statua d'ottima fattura settecentesca in legno policromo raffigurante l’Immacolata, e da cui ha preso il nome popolare la chiesa.
Piazza S. Francesco è congiunta con via Crociferi dall’arco detto di S. Benedetto, congiungente i due fabbricati della Badia grande e della Badia piccola, fronteggiantisi ai due lati della strada. L’arco (del 1704) è arricchito da finestre che danno sulla strada; secondo la tradizione fu costruito in una sola notte da maestranze ecclesiastiche, così da mettere di fronte al fatto compiuto le autorità laiche che si opponevano al congiungimento delle due parti del monastero benedettino.
La stupenda facciata della chiesa di S. Benedetto,
in via dei Crociferi. Opera dell'architetto G. Palazzotto
Subito a sinistra dell’arco si eleva la chiesa di S. Benedetto la quale, insieme ad altre tre chiese e ai tre conventi, forma il nucleo centrale dei monumenti settecenteschi di via Crociferi. La chiesa, opera di Alonzo Di Benedetto, fu costruita negli anni dal 1704 al 1713 accanto al monastero preesistente, intonandosi perfettamente all'architettura della via. Il magnifico prospetto rievoca influssi del Vaccarini, del Borromini e non pochi «elementi locali». La facciata si eleva alta su di una gradinata ed è a due ordini di semicolonne nella parte bassa e di lesene in quella alta; la trabeazione è interrotta dal timpano curvo spezzato, e ciò (assieme al portale e alle balaustre) richiama da vicino lo stile del Vaccarini. Ad arricchire ulteriormente la facciata aumentando l’effetto chiaroscurale contribuiscono varie sculture (notevoli quella della Immacolata al centro, e le due figure simboliche sedute ai lati del cornicione limitante il balcone), uno stemma col busto di S. Benedetto, situato sul timpano, e gli ornamenti lignei del portale raffiguranti scene della vita del Santo, opera questa veramente degna di nota. L'interno, molto semplice, è a una sola navata ed è preceduto da un elegante vestibolo ove si trova una scala adorna di angeli in stucco. La volta a botte, la calotta della cupola e l'abside sono riccamente decorate da affreschi di Giovanni Tuccari (1726) raffiguranti la «Gloria di S. Benedetto», la «SS. Trinità», e una « Incoronazione della Vergine». Sui primi due altari si ammirano due splendide tele della fine del settecento: una di Matteo Desiderato raffigura «Tobia e l’Arcangelo Raffaele», l’altra di Sebastiano Lo Monaco raffigura «L'Immacolata». Oltre a un bell’esemplare di organo rococò posto sulla porta, si nota, per la ricchezza di marmi e di decorazioni in bronzo dorato, l’Altare Maggiore.
Sempre sul lato sinistro della strada, segue la chiesa di S. Francesco Borgia; essa fa parte del complesso del monastero dei Gesuiti da cui prende il nome popolare. La chiesa è divisa da quella di S. Benedetto da una viuzza in salita che conduce ad una piccola piazza in cui è sito un elegante palazzo settecentesco (palazzo Asmundo), una delle tante dimore padronali del centro antico, degno di nota per il gioco chiaroscurale della facciata e per i ricchi saloni rococò.
Disegnata da Angelo Italia sul finire del settecento, la chiesa dei Gesuiti ha maggiore semplicità e slancio di linee della precedente. Elevata su un’alta gradinata a due rampe, la facciata è realizzata a due ordini di colonne accoppiate con un portale che ne ripete il motivo. Le colonne binate seguono lo stesso ritmo anche nell’interno, ove nella cupola possono ammirarsi gli affreschi raffiguranti «L’esaltazione della Compagnia di Gesù» eseguiti da Olivio Sozzi, nel 1760. Di superba bellezza è il primo dei quattro cortili facenti parte del monastero, opera del gesuita Giuseppe Pozzi. L'edificio monastico era fino a pochi anni orsono adibito a Casa di rieducazione per i minorenni (per cui i catanesi lo chiamarono «u cunvittu»), oggi è invece degna sede dell’istituto Statale d’Arte.
Il padiglione neo gotico in maiolica policroma,
al centro del primo chiosco del Monastero
Sul lato opposto, quasi di fronte alla chiesa dei Gesuiti, si erge quella che va considerata la chiesa più importante di via Crociferi, ossia quella di S. Giuliano, facente anch’essa parte di un ex monastero (oggi sede della Camera Generale Italiana del Lavoro). È la chiesa più maestosa sita in via Crociferi e una delle massime espressioni del barocco catanese. Venne iniziata molto probabilmente dall’architetto Giuseppe Palazzotto intorno al 1738 e terminata quasi certamente del Vaccarini che ne realizzò il prospetto (1760); nell’aprile del 1763 fu consacrata dal papa Clemente III e da Ferdinando II re delle due Sicilie al pontefice catanese S. Giuliano. Il prospetto della chiesa è in calcare e si leva su di una larga gradinata con la parte mediana della facciata convessa coronata da un loggiato che gira attorno al corpo centrale dell’edificio. Un’imponente cancellata (1832) chiude la gradinata avvalorando la convessità dell’edificio. L’interno è a pianta ellittica di tipo borrominiano arricchita da due bracci all'estremità dell’ellisse dimostranti chiaramente l’ispirazione ai contemporanei monumenti romani anche per i due ambienti laterali posti all’ingresso e che danno l'impressione d’essere due navate. L’edificio è sormontato da una cupola di copertura non visibile dall’esterno in quanto nascosta dentro una lanterna ottagonale. È pregevole l’altare maggiore, ricchissimo di marmi rari e bronzi dorati culminanti in un tronetto adorno di due statue in marmo bianco («La carità» e «La fede»). Sull’altare è posto un Crocifisso su tavola (XIV secolo) in stile bizantineggiante. Sul primo dei quattro altari è posto un dipinto del 1643 di Pietro Abbadessa raffigurante «S. Antonio Abate»; sul secondo una tela del XVIII secolo (opera di Olivio Sozzi) raffigurante la «Madonna con i Santi Giuseppe e Benedetto». Sul primo altare di sinistra è posto un gruppo marmoreo di notevole effetto drammatico raffigurante «Il Crocifisso con la Maddalena, l’Addolorata e S. Giovanni».
Superata la via di S. Giuliano, sull’altro lato della strada (a destra) si erge la chiesa di S. Camillo; subito dopo la via Crociferi finisce interrotta dal settecentesco portale di villa Cerami che incornicia un inaspettato pezzo di verde, mantenendo così, nonostante le modifiche avvenute nel tempo, quasi inalterato il proprio fascino. Questo, grazie all’intervento dell' Università di Catania che acquistò la villa sottraendola alle speculazioni, e adibendola, dopo attenta opera di restauro, a sede della Facoltà di Giurisprudenza. All’epoca dell’acquisto, le condizioni della villa erano disastrose e più del 60 per cento dell’edificio s’è dovuto ricostruire; l'intervento di restauro si è reso necessario anche per il parco ed è stata un’opera accuratissima dovuta alla consulenza dell'istituto di Storia dell’Arte, diretto in quel tempo dal prof. Stefano Bottari. La direzione dei lavori fu affidata all'architetto Leone e fu portata a termine nel 1962.
Dall’incrocio di via Crociferi con l'arco di S. Benedetto inizia la via Teatro Greco che, attraversando l’Odeon e le Terme della Rotonda, conduce sull'altura dell’Acropoli, oggi piazza Dante. E in questo spiazzo culmina l'architettura catanese col complesso dell’ex Convento Benedettino e la sua monumentale chiesa di S. Nicolò l’Arena che domina la piazza.
II grandioso edificio più che un convento pare una reggia, mettendo in risalto la pretenziosità dei monaci; fu iniziato nel 1558 dal catanese Valeriano De Franchis e comprendeva, oltre alla chiesa, una parte dell’attuale complesso quali i dormitori, i refettori e il chiostro occidentale. Danneggiato dall’eruzione del 1669, i monaci diedero incarico di ricostruirlo all’architetto romano Giovanni Contini; si stava procedendo alla sua riedificazione quando il terremoto del 1693 lo rase quasi al suolo.
La nuova costruzione venne iniziata intorno al 1703 ad opera dell’architetto Antonio Amato ma, come tutte le opere colossali, vide avvicendarsi nella direzione dei lavori (protrattisi sino all’ottocento) numerosi architetti che dettero il loro apporto e la loro interpretazione del progetto. Sicuramente vi lavorarono Alonzo Dì Benedetto, G. Battista Vaccarini, Francesco Battaglia, Antonio Battaglia, Stefano Ittar e Carmelo Battaglia Santangelo.
Sia la parte frontale sia quella laterale è a grosse lesene a bugnato, racchiudenti due piani di finestre a balconi incorniciate con esuberante vena decorativa, e con mensoloni raffigurane maschere mostruose. Il grande portale dell’ingresso principale, di gusto neoclassico a colonne binate e sormontato da un balcone, è dovuto a Carmelo Battaglia. Dal portale si accede in un vestibolo che porta al monumentale scalone, ornato di stucchi su fondo azzurro che conserva quasi per intero l’originaria forma. Attraverso un altro portale, d’un fastoso barocco, si passa nel primo chiostro ad arcate colonnate inquadrate da lesene doriche; nel mezzo un padiglione pseudo gotico rivestito di maiolica policroma e attorniato da palmizi. Sia il padiglione che il portale sono dell’800. Il secondo chiostro, quello occidentale, con cinquanta colonne marmoree, ha finestre nelle terrazze negli ambulacri decorati con sovrabbondanti incorniciature tipiche del barocco catanese.
La chiesa, la cui facciata è rimasta incompiuta, è di grandiose proporzioni (è la più vasta della Sicilia) e vi si notano le quattro grandiose coppie di colonne rimaste a metà e che avrebbero dovuto reggere il frontone popolato di statue. Misura in larghezza m. 39 (48 nel transetto) per 105 di lunghezza; venne iniziata mentre si ricostruiva il convento sul progetto eseguito da Giovanni Contini. L’interno a croce latina a tre navate divise da colossali pilastri a lesene accoppiate è, a differenza del convento, di una nudità monacale rotta solo dagli altari ornati di quadri con un armonico gioco visivo. L'interno ha una vastità impressionante. La cupola, opera di Stefano Ittar, ha un’altezza interna di m. 62; attraverso una strombatura nella porta maggiore è possibile salirvi: 130 gradini arrivano al cornicione, altri 65 fino al tamburo. Da quest’altezza si ha la più ampia visione di Catania: oltre ad avere un’ottima vista dell’Etna e dei paesi sulle sue falde, si distingue Taormina e, nelle giornate limpide, la costa calabra e l'Aspromonte. Sul pavimento lungo il transetto, una meridiana di marmo è meta di un pellegrinaggio di curiosi. I disegni dei segni zodiacali che vi si trovano intarsiati vengono atribuiti allo scultore danese Albert Thorwaldsen; fu costruita nel 1841 su disegno di Waltershauen e C. W. Peter Sartorius.
Un pezzo di eccezionale interesse è il famoso organo dall’altissima cassa lignea intagliata e dorata opera del catanese Donato del Piano (che vi lavorò 12 anni) di cui in sagrestia si conserva un ritratto. L’organo possiede 2916 canne, cinque tastiere e 72 registri; per la bellezza degli armonici possiamo affermare che è il più importante della città.
I quadri che trovano posto nella chiesa sono del ‘700 e dell’800, e sono in gran parte di scuola romana; senza essere dei capolavori sono delle opere di buona fattura. Oltre alle tele del Tofanelli e del De Rossi meritano una menzione particolare un «S. Gregorio» di Vincenzo Camuccini posto sul primo altare di destra, un «Martirio dei santi Placido e Flavia» di Placido Campolo, e, soprattutto, i «Santi Placido e Mauro» di Antonio Cavallucci posto sul transetto.
Nella parte absidale, oltre all’altare maggiore in marmi policromi di stile neoclassico, si trova un coro intagliato con scene evangeliche, opera di Nicola Bagnasco e di Gaetano Franzese; ai lati dell’altare due credenze lignee dorate dalle maestose forme barocche. Di notevole pregio gli armadi intagliati e decorati da finissime statue posti nella sagrestia che formano un elegante ambiente con la volta affrescata dal Pipero.
Una inquadratura del chiosco occidentale dell'ex Monastero
dei Benedettini
Dopo la guerra del ‘15-18 la chiesa divenne sacrario dei Caduti e pertanto, vicino alla sagrestia, venne costruita una Cappella in cui sono raccolte le salme dei catanesi caduti in guerra. Il sacrario fu decorato dal pittore Alessandro Abate e, in seguito, arricchito da una vetrata del romano Duilio Cambellotti.
Pare che uno dei chiodi che trafissero il Cristo sia conservato in questa chiesa, custodito in un prezioso reliquario tempestato di pietre preziose.
Del complesso monumentale dei Benedettini fanno pure parte l’attuale biblioteca civica Ursino Recupero e i locali dell’osservatorio astrofisico, siti sul retro della chiesa e con ingresso sulla via Osservatorio. Vi si entra passando sotto un arco situato in fondo alla piazza, e subito a destra dopo l’arco si incontra l’Istituto Ingrassia di medicina legale e una lapide che ricorda le terme romane che sorgevano in questo luogo. In fondo alla stradina una scala quasi nascosta in mezzo al verde conduce alla biblioteca. Originariamente questa era la biblioteca dei padri Benedettini; in seguito fu arricchita dal materiale proveniente dalla soppressione delle corporazioni religiose e dalla donazione del barone Ursino Recupero, consistente in oltre 40 mila volumi di enorme interesse soprattutto per la storia della città; più tardi il Comune acquistò la biblioteca del poeta Mario Rapisard e l’aggiunse al già ricco materiale della biblioteca. Vi si trovano raccolti volumi di inestimabile valore, incunaboli, pergamene, rogiti notarili, bolle pontificie e diplomi regi; vale pena di citare una «Divina Commedia» del secolo XV, una «Bibbia» del secolo XIV miniata di scuola del Cavallini, un «Salterio » del XIII secolo e un calendario rabbinico del XIV secolo. Il complesso della biblioteca è diviso in due ali dì cui quella est formata da cinque sale e quella ovest (divisa dall’altra da un corridoio) avente la magnifica sala Vaccarini e un’ampia sala rotonda in cui sono conservate le opere di teologia. La sala Vaccarini ha il soffitto affrescato con pitture del Pipero ed è arredata da una bellissima scaffalatura settecentesca, con  ballatoio. Nel vestibolo la sala Rapisardi ospita la biblioteca del poeta; nelle bacheche si possono ammirare i manoscritti e il carteggio oltre a delle suppellettili regalate dal poeta alla città natale.
L’osservatorio astrofisico ha ingresso nella piazza Vaccarini (posta al termine di via Osservatorio) e si trova anch’esso nei locali dell’ex convento. Esso venne fondato nel 1835 ed ebbe come primo direttore il modenese Annibale Riccò; la grande cupola dalla calotta argentata è visibile dall’esterno. In esso si compiono studi e ricerche sulla fisica solare; ospita inoltre il Circolo Meridiano di Ertel.
Oltre alle opere sin qui citate, e che sono le testimonianze più palesi degli sforzi compiuti per ricostruire la città, ve ne sono altre che, per motivi storici o più semplicemente per la loro posizione, tratteremo isolatamente.
Il primo fra questi monumenti è la chiesa di S. Maria dell’indirizzo (già citata) che sorge a piazza Currò. Come abbiamo già detto, la chiesa incorpora le rovine delle Terme; fu innalzata probabilmente intorno al 1616 dal viceré D. Pietro Girone come segno di ringraziamento alla Madonna che aveva dato «il giusto indirizzo» alla sua nave in pericolo nel 1610 (da qui il nome della chiesa).
Distrutta insieme al convento che vi sorgeva accanto (attualmente vi trova posto un edificio scolastico avente la stessa architettura) se ne iniziò la ricostruzione a più riprese (dal 1727 al 1835) come attesta l’iscrizione posta sul portale. Il prospetto, di Girolamo Palazzotto, si eleva su di una gradinata chiusa da una cancellata e da un parapetto, ed è ornato da un elegante portale. L’interno, a croce latina a una navata, presenta due cappelle quadrate in ciascun lato.
L'incompiuta facciata di S. Nicolò all’Arena  al centro della vecchia acropoli, 
considerata la chiesa più vasta di tutta la Sicilia.




Sulle rovine di una cappella paleocristiana venne costruita nel’700 la chiesa di S. Agata la Vetere, sita dopo la salita di via Garofalo, in uno spiazzo rientrante tra la via S. Maddalena e via Plebiscito; sembra che sia questo il luogo dove per otto secoli sorse la Cattedrale e pare che fino al 778 si estendesse su un’area comprendente anche l’attuale carcere di S. Agata e che fosse un ampio edificio a tre navate. Attualmente l’interno, semplicissimo, è a una sola navata; nel presbiterio possono vedersi parti di un altare del tardo medio evo con un bassorilievo raffigurante «Il martirio di S. Agata con S. Pietro e un Angelo». Recenti rilievi hanno messo in luce parti delle basi di pilastri appartenenti alla primitiva costruzione medievale. Oltre al sarcofago della Santa, avente rilievi tardo romanici sul fronte della cassa decorata da grifoni affrontati, vi si conserva l’arca lignea che per 500 anni contenne le spoglie della Martire catanese; dell’originario rivestimento restano alcuni pinnacoli gotici in argento. Tra i quadri, oltre una tela di discreto interesse di Antonio Pennisi raffigurante «S. Agata a cui appaiono S. Pietro e un Angelo» (1777), v’è una «Madonna dei bambini» di Giuseppe Sciuti (1898) piuttosto manierata.
Quasi di fronte alla chiesa sorge la facciata convessa di un’altra chiesa, facente parte dell’ex Conservatorio della Purità fondato nel 1775 e più volte rimaneggiato e ingrandito. La facciata elegante ed armoniosa porta la firma di Antonio Battaglia.
Non distante da questi due edifici, sulla piazza S. Domenico sorge l'omonima chiesa annessa al tuttora funzionante convento. La facciata neoclassica, anche se imponente, è di scarso valore artistico; l’interno è a una sola navata e non presenta un alto valore architettonico. Vi figurano però alcune interessanti opere quali un dipinto su tavola, attribuito a Innocenzo da Imola, raffigurante una «Madonna del Rosario», opera interessante più che per la fattura per il fatto che l’artista ha raffigurato ai piedi della Madonna i protagonisti del congresso di Bologna (1529): Carlo V, papa Clemente VII, il duca di Milano Francese Sforza, il cardinale Salviati, il cardinale Farnese e Alessandro De’ Medici; un «S. Domenico Ferreri» di Olivio Sozzi, un frammento di Madonna su tavola di Cesare da Sesto (quest’ultimo conservato nel convento), una soavissima «Madonna con bambino» scolpita da Antonello Gagini. Fra le curiosità si trova nella chiesa il corpo mummificato del Beato Bernardo Scammacca morto nel 1486.
In piazza Stesicoro è sita la chiesa S. Biagio dei padri Cappuccini, costruita a fine del XVIII secolo, con facciata classicheggiante. Questa chiesa è molto cara ai catanesi in quanto, secondo la tradizione, sorge sul luogo in cui S. Agata venne gettata nel fuoco. Nell’interno, accanto ad un altare, si trova un simulacro in una custodia di vetro che pare sia la fornace (carcarella) del martino -come ricorda una lapide: «Hic ardentibus volutata carbonibus». La chiesa è infatti comunemente chiamata «Carcarella ».
Nell’area del Duomo, dietro la Cattedrale, sorge la piazzetta di S. Placido, un piccolo angolo settecentesco ricco di architetture e di decorazione (vi si affaccia una parte del palazzo Biscari). Notevolissima la chiesa dedicata al Santo e disegnata da Stefano Ittar (1769), con la facciata fortemente convessa e ornata, nella parte mediana, di nicchie con statue; facciata realizzata a due ordini di lesene che ne seguono l’andamento a triplice curva. L’interno a una navata si presenta a semicolonne accoppiate e vi si possono ammirare un «S. Benedetto» opera di Michele Di Napoli da Terlizzi e una «Immacolata» di Michele Rapisarda. La chiesa faceva parte del convento delle Benedettine e nel cortile dell’ex monastero, con ingresso in via Landolina, si può ammirare una terrazza quattrocentesca decorata a pietre bianche e nere alternate e che faceva parte del palazzo Platamone.
Nella stessa piazza, le cariatidi di un portone barocco di un palazzetto hanno fatto erroneamente credere (per l’atteggiamento ambiguo e allusivo delle figure) che si tratti della casa del poeta Domenico Tempio.
Sempre di Stefano Ittar è il prospetto della facciata della chiesa di S. Martino dei Bianchi, situata in via Vittorio Emanuele. La facciata in marmo rosa (ora restaurata non molto felicemente) è di linea convessa ed è dei primi del ’700.
Sulla via Etnea, oltre alla chiesa della Collegiata, sorgono altre chiese di notevole interesse. Prima fra tutte la chiesa dei Minoriti, annessa all’edificio che oggi ospita il palazzo del Governo; i locali facevano parte del convento dei Chierici Regolari Minori, prima che nel 1876 venissero espropriati in seguito all’abolizione delle corporazioni religiose. Questo spiega perché tanti ex conventi siano oggi adibiti ad uso laico.
La chiesa dei Minoriti, ispirata chiaramente al barocco romano, fu eretta nel 1785; si presenta a due ordini di semicolonne. L’interno con una vasta cupola è a pianta centrale; un monumento in marmi colorati ricorda il fondatore Giovanni Battista Paternò. La chiesa è dedicata a S. Michele Arcangelo, una cui effigie su tavola, del XVI secolo, con decorazione di lamine d'argento cesellate, è conservata all’interno. Interessante un Crocifisso marmoreo della fine del '700 scolpito da Agostino Penna e un dipinto della stessa epoca raffigurante S. Francesco Caracciolo nell’atto di porgere la sacra veste dell’Ordine ai figli del duca d’Angiò re di Napoli.
Uno degli archi che fiancheggiano la chiesa
di S. Placido in via Museo Biscari
Nell’ultimo tratto di via Etnea si apre la piazza Cavour con l’antico «borgo», sistemata come un giardino e ornata al centro dalla fontana di Cerere, comunemente chiamata «Dea Pallade», eseguita dal catanese Giuseppe Orlando (1757) e fatta innalzare dal Senato a spese del pubblico erario. Sulla stessa piazza si eleva la settecentesca chiesa di S. Agata al Borgo che vanta alcuni interessanti affreschi eseguiti da Giovanni Lo Coco, detto «u surdu d’Aci», morto nel 1712; vi si trovano, inoltre, una tela di Olivio Sozzi e una di Vito D'Anna raffigurante l’Addolorata.
Sempre sulla via Etnea, sulla direttrice terminale di via Empedocle, sorge il Conservatorio delle Vergini al Borgo, volgarmente detto «La badiella», fondato nel 1776 dal sacerdote Giuseppe Giuffrida con l’appoggio finanziario della contessa di S. Martino Eleonora Statella.
Nella zona mediana di via Vittorio Emanuele (all’angolo con via Quartarone) si eleva, con una scenografica facciata, la chiesa della SS. Trinità. Il prospetto, completato da Stefano Ittar ha la parte mediana concava ed è realizzato a due ordini; due piccoli campanili ne completano l’armonia. L'interno, a pianta ellittica, scandito nel suo perimetro da lesene accoppiate; vi si accede per una scala che si sviluppa entro un vestibolo circolare. Vi possiamo ammirare tre opere di Olivio Sozzi e una «Vergine con S. Giovanni Evangelista» di Sebastiano Conca.
Sempre sulla stessa strada (cento metri più oltre) possiamo ammirare la chiesa di S. Agostino; disegnata dall’architetto Girolamo Palazzotto e di tipo barocco romano, ha il prospetto di largo respiro, impostato su due ordini di semicolonne. Alla chiesa, innalzata sull’area di una basilica romana, era annesso il convento.
Molte altre sono le chiese che meriterebbe una menzione, se non uno studio particolareggiato, ma crediamo di aver già detto abbastanza per un’opera che non vuole essere uno studio del barocco catanese bensì una panoramica dei principali monumenti cittadini. Tuttavia crediamo giusto citare a volo d’uccello alcuni monumenti che meriterebbero senz'altro di più. Tra questi: il Santuario della Madonna del Carmine che coll’annesso convento domina piazza Carlo Alberto; eretto intorno al 1730 e col prospetto parzialmente incompiuto, si presenta con due semicolonne corinzie che racchiudono una nicchia con la statua della Madonna. L'interno è a tre navate divise da pilastri; si lasciano ammirare un dipinto su tavola di Andrea Pastura raffigurante «La Madonna del Carmine tra i santi Elia e Bertoldo» (1501); una «Madonna del Carmelo che dà lo scapolare a S. Simone Stock» di Sebastiano Ceccarini (della seconda metà del '700) e una «Madonna con le sante Agata e Lucia» di Antonio Pennisi (fine '700). Il presbiterio fu affrescato dal catanese Natale Attanasio (1898); sull’altare maggiore le statue di Mosé e di Elia, nonché una tela raffigurante «L’Annunziata» del catanese Filomena (XVIII secolo).

Interessanti pure alcune chiese innalzantisi lungo la via Garibaldi, quali la scenografica chiesa di S. Chiara di Girolamo Palazzotto dallo stupendo pavimento marmoreo; quella della Madonna di Loreto; e quella di S. Maria dell’Aiuto sorgente in via Consolato della Seta.