Catania, Guida ai monumenti, Muglia, 1974, seconda parte

Luccjo Cammarata e Beppe Costa: Catania, Guida ai monumenti, Muglia, 1974

l'Anfiteatro romano con lo sfondo della chiesa di San Biagio

L’immortale volto di Catania sepolta, parte 2.

...Di tale avvenimento sono testimonianza alcune monete recanti l’immagine di Zeus Aitnaios e di Sileno barbuto. Morto Gerone, i calcidesi ripresero il sopravvento e, rioccupata nel 461 a.C. la città, le ridiedero il nome di Katàne; i nuovi coloni dori si rifugiarono ad Inessa e a questa trasferirono il nome di Etna (in località fra Paternò e S. Maria di Licodia, oggi Civita). Dopo questi avvenimenti sul conio delle monete riapparve Apollo, nume tutelare della città, restandovi negli splendidi esemplari recanti firme celebri come Enàinetos, Herakle îdos, Ploklès, Choirion etc. fino al 403 a.C., anno in cui la città fu rioccupata dai siracusani guidati da Dionisio (che la presero col tradimento saccheggiandola e vendendo gli abitanti come schiavi) e data in mano a mercenari campani perdendo così libertà e grandezza. Sette anni dopo i campani abbandonarono la città rifugiandosi ad Etna all'avvicinarsi della flotta cartaginese comandata da Imilcone e Magone; sconfitta nelle acque di Catania la flotta siracusana comandata da Leptine (fratello di Dionisio) i cartaginesi conquistarono la città tenendola fino al 339 a.C., anno in cui venne liberata da Timoleone.
Dopo aver accolto il re d’Epiro Pirro (278), a.C. è una delle prime città ad essere conquistata dai romani e come tutti gli altri centri dell’isola segue gli alterni voleri di Roma, con periodi di benessere e gravi momenti di crisi come durante la prima guerra servile del 238 a.C.
Catina (corrispondente latino di Katàne) fu Civitas Decumana per tutto il II e I secolo a.C., periodo in cui subisce le angherie della protopretura di Caio Licinio Verre, accusato fra l’altro del furto di una statua di Cerere (tutti ricorderanno il famoso processo contro il criminale pretore romano in cui Cicerone patrocinava i siciliani). È interessante notare, a proposito, che il tempio di Cerere secondo le supposizioni degli storici antichi sorgeva presso il «Bastione degli infetti», fuori dell'antica Porta del Re. La leggenda lo vuole distrutto da S. Leone vescovo di Catania col suo solo avvicinarsi e in pochi istanti, al tempo delle lotte contro l’iconoclastia. Sul luogo venne in seguito trovata una lapide del periodo dorico recante la scritta: «KATANE CERERI SACRUM», lapide che per lungo tempo si trovò all’ingresso del palazzo Senatorio e venne poi trasferita al Palazzo Biscari; si pensa che essa facesse parte dell’ingresso del tempio dal quale fu trafugata la statua della dea.
Nel 121 a.C. la città viene quasi totalmente distrutta da un’eruzione dell’Etna. Secondo una leggenda, durante questa eruzione, i pii fratelli Anfinomo e Anapia trassero in salvo i propri genitori portandoli sulle spalle attraverso la colata lavica che, al loro passaggio, si apriva creando un corridoio; secondo i cronisti, i fratelli pii vennero onorati come semidei dal popolo, riprodotti sul conio delle monete, cantati] da poeti e cantastorie; sempre secondo le discordanti versioni dei cronisti, in loro onore vennero erette a Catania delle statue bronzee presso il «Sepolcro di Stesicoro» (nelle vicinanze della porta di Aci) e un tempio a loro dedicato fu eretto a tre miglia da quello di Cerere (nella zona dell’attuale via Antico Corso). Le cronache tramandano che fu loro dedicata una colonna marmorea con la semplice iscrizione «Anfinomo e Anapia». La loro celebrità sembra sia arrivata fino a Roma e in una villa vicino l’Urbe trovava un'epigrafe recante incisi i loro nomi.
La cupola di S, Maria della Rotonda,
edificio termale nei pressi dell'Acropoli

Poiché la città aveva parteggiato per Sesto Pompeo, Augusto vi inviò una colonia di veterani. Da questo momento Catania divenne una delle città isolane più importanti, acquisendo sempre maggior prestigio. Vide così restaurato il suo teatro, gli acquedotti, l’anfiteatro, sorse un arco dedicato a Marcello (che aveva fatto riedificare il Gymnasium) e tutta una serie di edifici termali; appartengono a questo periodo tutti i monumenti più antichi tuttora visibili della città. Primo fra tutti il Teatro: addossato al vicchio Odeon, sul lato sud della collina dell’Acropoli ed aperto verso l’attuale via Vittorio Emanuele l’arena venne ricostruita interamente dai romani su quella già esistente. Esso poteva accogliere sino a settemila spettatori, misurando m. 86 circa di diametro; la sua cavea era in blocchi di calcare, divisa in 9 cunei e due recinzioni, cinta da tre corridoi costruiti in pietra lavica; da questi ambulacri (posti su diversi piani) il pubblico poteva accedere ai vari settori delle gradinate attraverso i «vomitori». Attualmente il monumento non è visibile dalla strada in quanto circondato da una serie di palazzi ottocenteschi sia da via Vittorio Emanuele che da piazza S. Francesco, e per accedervi bisogna attraversare l'atrio d’un edificio che lo affianca (ciò dimostra la trascuratezza in cui è tenuto da secoli) dei restauri, cominciati nel 1967 e tuttora in corso, per consolidare le strutture dei tre ambulacri hanno permesso di portare alla luce buona parte della cavea e tratti della gradinata della «summa cavea» al di sopra della quale, come nel Teatro di Taormina, doveva innalzarsi un portico a colonne delle quali si vedono i resti, precipitato nella «orchestra»; quest’ultima, che aveva un diametro di m. 29, viene spesso allagata dalle acque dell’Amenano ed occorrerebbe un immenso lavoro di dragaggio per poterla scoprire nella sua interezza. I resti di intonaco idraulico presenti nel tratto mediano dell’ambulacro inferiore dimostrano che in età imperiale esso venne adoperato come serbatoio al fine di poter allagare l’orchestra, rendendo così possibile l'esecuzione di spettacoli acquatici; infine, i sondaggi hanno dimostrato che negli strati inferiori dell’attuale cavea esistono tracce di altre due cavee che mostrano i rifacimenti del teatro (rifacimenti riferibili all’età imperiale).
L’altro teatro, l’Odeon, era di gran lunga più piccolo: aveva una capacità di 1500 posti e veniva adoperato per cori, prove e recite a concorso; lo spazio tra la cavea e il muro esterno è suddiviso in undici ambienti non comunicanti che, in origine, dovevano essere diciassette.
Sono pure notevoli i resti di un Anfiteatro risale al secondo secolo a.C. e che è parzialmente visibile a piazza Stesicoro. Di forma ellittica, con l’asse maggiore di m. 125 da Nord e quello minore di m. 105, esso ha la più grande arena conosciuta fra i teatri romani (dopo naturalmente, quella del Colosseo): ha due assi di m. 71 e 51, ed era capace dì 15.000 spettatori, avendo 56 archi e 32 ordini di posti; l’ossatura era in lava e il rivestimento in marmo. Pochi sono. comunque, gli avanzi della cavea; le fondamenta invece si addentrano per lunghissimi: tratti sotto i moderni edifici, arrivando fin oltre via Penninello. Impropriamente definiti dai catanesi come «Catania Vecchia», gli accessi a questi corridoi sotterranei sono chiusi da tramezzi in muratura tuttora visibili; raccontano gli anziani che, all’inizio del secolo, vi si smarrì un’intera scolaresca con l'insegnante, e che non riuscirono più a trovare la via d'uscita; durante l’ultimo conflitto mondiale i corridoi vennero adoperati come rifugio antiaereo. .
Tra i numerosi edifici termali citiamo le «Terme della Rotonda» poste nei pressi dell’acropoli trasformate successivamente in chiesa cristiana e delle quali rimane un grande ambiente circolare, alcuni avanzi di affreschi alle pareti e delle grandiose vasche rivestite di marmo. In proposito merita un accenno speciale la scoperta di una porzione di pavimento di metri8.40 x 4, con dei mosaici del tipo «opus segmentatum» del migliore periodo romano, sui resti di antiche fabbriche (come si vede, questa è una caratteristica comune a quasi ogni scavo essendo stata la città più volte ricostruita sulle rovine).
Il mosaico costituiva il resto di un pavimento rinvenuto in un palazzo intorno al 1929 e che sorgeva all’incrocio di via Crescenzio Galatola con via Teatro Greco, alle spalle dell’antico Teatro. Le scoperte vennero fatte durante la costruzione dell’attuale Collegio Salesiano. La zona era già nota archeologicamente dal tempo della scoperta dell’ormai scomparsa tipografia Galatola, vicino alla Rotonda, di cui pare facesse parte anche quest’ultimo fabbricato, e che insieme formassero l’edificio termale, smentendo la fantasia dei catanesi che credevano la Rotonda un Pantheon.

I resti della pavimentazione venuta alla luce erano di vari colori: rosso, bianco, giallo; e furono trovati unitamente a delle lucerne romane e ad una statuetta fittile rappresentante una vacca modellata con sapiente cura, nonché una ceramica invetriata appartenente all’età medievale.
Molto evidenti sono i rimaneggiamenti avvenuti in questo edificio, specie quelli di età bizantina, allorché le terme della Rotonda vennero trasformate in chiesa cristiana.
Un altro edificio d’enorme importanza storica è quello delle «Terme dell’indirizzo», quasi interamente conservato; di pianta ottagonale, sulle sue rovine sorge la settecentesca chiesa di S. Maria dell’Indirizzo che ancora conserva la volta originaria. I resti delle terme sono visibili dal cortile dell’edificio scolastico avente ingresso in piazza Currò, che sorge nello stabile del convento di S. Maria dell’indirizzo, nello stesso stile architettonico. Oltre a tre stanze comunicanti («apoditerio» e «laconico») è possibili vedere le vasche per riscaldare l’acqua, i condotti per l’aria e gli incavi delle condutture di piombo.

Vanno pure ricordati i resti delle «Terme Achilliane» visibili sotto le strutture della Cattedrale, ornate da finissimi stucchi raffiguranti cene bacchiche; la parte esistente consta di un corridoio e di un ambiente sostenuto da quattro pilastri. Secondo antichi cronisti pare che nei pressi delle Terme sorgesse un tempio dedicato al dio Bacco e che le stesse Terme fossero dedicate al nume, come fanno del resto pensare gli stucchi a forma di grappoli d’uva che decorano l’ambiente. Il Fazello sostiene che le colonne e i capitelli del Duomo appartenevano in origine al suddetto tempio.
Da non dimenticare altri edifici di varia destinazione come il «Foro Romano» sito in piazza S. Pantaleone fra via Garibaldi e via Vittorio Emanuele, del quale restano un tratto di colonnato e alcuni ambienti sotterranei adibiti quasi certamente alla conservazione delle derrate e che icatanesi chiamano impropriamente «Grotte di S. Pantaleone»; oppure come le tombe situate una in proprietà Modica al viale Regina Margherita, l’altra in via Ipogeo (quest’ultima avente pianta rettangolare). Una leggenda vuole che a Catania vi fosse anche la tomba di Stesisicoro, e la fantasia degli abitanti crede di individuarla in un’antica cella sita nel cortile della caserma «Lucchesi Palli» in piazza Carlo Alberto. Sono notevoli i frammenti, le iscrizioni, le sculture e i mosaici provenienti dai monumenti citati e che sono custoditi nel museo civico del Castello Ursino. Tra le sculture è da ricordare una statua di imperatore del periodo traianeo; ritratti di età romana e numerosi sarcofagi; un sarcofago di notevole importanza è inoltre quello conservato nella chiesa di S. Maria la Vetere, recante una rappresentazione di caccia al cinghiale Calidoneo.

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